Un luogo, due nomi, molteplici ed intricati fatti: Stati Uniti, Facebook e Twitter; sospetto di manipolazione russa dell’opinione pubblica americana sia durante la campagna elettorale delle Presidenziali 2016, che anche successivamente.

I 1823 tweets

Ed è appunto Twitter, il social network fondato da Evan Williams e Jack Dorsey nel 2006, a svelare che Russia Today, il canale tv e web legato a Mosca, avrebbe speso 274.000 dollari in pubblicità, per pubblicare esattamente 1823 tweets, finalizzati ad influenzare l’opionione pubblica durante le elezioni presidenziali americane del 2016.

E sebbene Colin Crowell, vicepresidente dell’azienda che gestisce la piattaforma, abbia dichiarato di aver già incontrato lo staff delle due commissioni, alla Camera e al Senato americani, che mirano a far luce sul cosiddetto “Russiagate”, sembra che l’ingerenza di Mosca non si sia limitata alle Presidenziali dello scorso anno. Pare infatti che, e ciò è stato affermato sia dal senatore repubblicano James Lankford che dal New York Times, l’azione di disturbo della Russia sia proseguita su Twitter anche in occasione della recente protesta di alcuni giocatori afroamericani dell’NfL inginocchiatisi durante l’esecuzione dell’inno nazionale.

Accounts falsi, in realtà gestiti dalla Russia, avrebbero insomma fomentato la polemica su questo fatto scrivendo tweets al vetriolo, sostenendo anche talvolta posizioni differenti e contraddittorie - utilizzando hashtags come #boycottnfl e anche #takeaknee.

Con l’approfondirsi delle indagini sul “Russiagate” del procuratore speciale Robert Mueller, ma anche delle inchieste del Parlamento e della stampa americani, si stanno in altre parole delineando gradualmente i tratti di un’azione manipolatrice alquanto sottile e raffinata: su Twitter gli accounts gestiti segretamente dalla Russia avrebbero declinato la disinformazione in modo tale che suonasse veritiera ad orecchie diverse, diverse per razza, età, istruzione, credo, status socio-economico.

I 3000 posts

Ma Twitter non è l’unico social nel quale vi sarebbe stata l’azione di disturbo della Russia. Nelle scorse settimane, infatti, era stato il Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, a riferire che accounts falsi sulla piattaforma avrebbero comprato annunci politici per un totale di 100.000 dollari durante le Presidenziali del 2016, materiale in seguito consegnato dallo stesso Zuckerberg a Mueller e al Congresso, che conduce un’inchiesta parallela a quella del procuratore speciale.

In particolare, scrive il Daily Beast citando fonti anonime, la manipolazione della Russia sarebbe avvenuta attraverso il gruppo Facebook United Muslims of America, un gruppo fake dietro il quale vi sarebbe stata appunto Mosca e che avrebbe pubblicato informazioni false miranti a screditare vari politici americani, inclusa Hillary Clinton. Non solo: secondo la Cnn vi sarebbe stato almeno uno tra gli annunci politici acquistati dalla Russia che aveva ad oggetto i fatti di violenza della polizia contro gli afroamericani a Ferguson e a Baltimora, e la seguente nascita del movimento Black Lives Matter. Anche in questo caso, precisa l’emittente americana, lo scopo dei posts sarebbe stato quello di rendere incandescente il dibattito pubblico in merito ai fatti, esasperare insomma ogni polemica.