Domenica si sono svolti i referendum consultivi in veneto e Lombardia. Erano chiamati al voto circa 11 milioni di elettori. Mentre in Lombardia è andato a votare meno della metà degli italiani aventi diritto al voto, in Veneto si sono presentati al seggio circa il 60 per cento. Così il Veneto ha superato il quorum: il 98 per cento dei voti è a favore dell’autonomia. Il governatore Luca Zaia ha parlato di “pagina storica” per la regione e di “big bang delle riforme istituzionali".

In Lombardia, invece, nelle valli si è votato ma non a Milano. Non è stato raggiunto il quorum, ma il 95 per cento dei voti è a favore del sì.

Il governatore Roberto Maroni si dice comunque soddisfatto e che l’indice d’affluenza previsto era del 34 per cento.

Nella notte un attacco informatico ha superato i livelli di sicurezza, rallentando i dati della consulta. Da questo lunedì cominceranno le trattative delle due regioni con il governo.

Le reazioni politiche

Per il segretario della Lega, Matteo Salvini, il voto ha confermato che “più di cinque milioni di persone chiedono un cambiamento. Vogliono meno tasse, meno sprechi, meno burocrazia e meno vincoli dallo Stato e dall'Unione Europea”. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, crede che le consulte non sono state un plebiscito, ma per Fratelli d'Italia la questione va oltre numeri e percentuali: “In una Nazione che si rispetti le riforme costituzionali si fanno tutte insieme e non a pezzi, per il bene di tutti e non per assecondare l'interesse particolare [...] Ora dobbiamo lavorare tutti insieme per fare una proposta di riforma allo Stato che unisca presidenzialismo e federalismo, senza mettere in discussione l’Unità nazionale”.

Due referendum, due richieste

Nonostante Veneto e Lombardia abbiano espresso in passato il desiderio di secessione dallo Stato italiano, oggi questa minaccia non è reale. Lo Stato italiano non è preoccupato.

La situazione con queste regioni è molto diversa rispetto alla crisi che affronta la Spagna con il caso della Catalogna.

Nel referendum catalano del 1° ottobre il governo di Carles Puigdemont ha chiesto se i cittadini “vogliono uno Stato indipendente in forma di repubblica”.

L’articolo 117 della Costituzione italiana spiega una lunga lista di attribuzioni statali e la possibilità – da parte delle regioni – di chiedere la gestione. Come ad esempio l’amministrazione delle norme d’istruzione, tutele ambientali e culturali e amministrazione dei giudici di pace.

Nel Titolo V della Costituzione dice esplicitamente che ci sono cinque regioni con statuto speciale: Lombardia e Veneto non sono tra queste ma vorrebbero. È questa la differenza con il referendum catalano: le regioni vogliono semplicemente più autonomia, non diventare uno Stato indipendente.

E adesso?

Tuttavia, la situazione di conflitto si presenta perché Veneto e Lombardia vorrebbero più controllo sui sistemi di sicurezza e flusso d’immigrazione e questo è un livello d’autonomia inesistente nel Paese. Neppure alla Catalogna è stato concesso.

Anche se è Lombardia è stato raggiunto il quorum, il risultato non è vincolante. La Costituzione italiana non prevede come obbligatoria la convocazione ad un referendum per poter richiedere più competenze allo Stato.

Anche altre regioni, come ad esempio l’Emilia Romagna, hanno cominciato i tramiti legislativi senza realizzare una consulta popolare. Lombardia e Veneto invece volevano conoscere “la volontà del popolare” per avere più potere nelle negoziazioni con Roma.

Gli effetti dei referendum di domenica non saranno immediati. Il processo burocratico è lungo e potrebbe impiegare mesi. Il governo ha detto che, con la legislatura attuale, risolvere il tema dell’autonomia di Veneto e Lombardia sarà compito del futuro esecutivo, dopo la primavera del 2018.