Immaginiamo una città grande quasi quanto Roma, una città da quasi tre milioni di abitanti. Immaginiamone i bisogni, le necessità, i diritti da garantire, i diritti da preservare, ma non in un clima di pace, bensì in un clima di guerra, di conflitto, esattamente dal mese di marzo 2015, tre anni senza serenità. Infine, immaginiamo che queste tre milioni di persone siano bambini, solo ed esclusivamente piccoli nati negli ultimi tre anni. Una vera e propria futura generazione nata nella paura, nella disperazione, nella mancanza della tutela dei diritti fondamentali; ora pensiamo che non si tratti di un film, né di finzione, ma della vita dei piccoli nati in Yemen negli ultimi tre anni.

I numeri del conflitto

A rivelare numeri e condizioni è il nuovo Rapporto Unicef “Born Into War” (Nati nella guerra), che riporta i dati di una situazione al collasso: “Un'intera generazione” - cita il sito ufficiale dell'Unicef - “sta crescendo senza conoscere altro che violenze, subendo le conseguenze di una guerra [VIDEO] che non hanno causato”. La media della mortalità infantile a causa delle violenze è di cinque vittime al giorno, che equivalgono a cinquemila dall'esplosione del conflitto dal 2015 ad oggi. Quasi l'intera popolazione minorile - circa 11 milioni di bambini – ha bisogno di assistenza umanitaria, senza considerare che quasi alla metà è negato l'accesso a servici igenici adeguati e all'acqua potabile.

Numeri dalle dimensioni tali da sembrarci persino impossibili da quantificare: in Yemen 1,8 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, oltre 400.000 soffrono della forma grave, quella che conduce alla morte e ne coinvolge 400.000. L'età media delle donne-spose, per tre quarti delle ragazze yemenite, non supera la soglia dei diciotto anni, o meglio, non la raggiunge neanche.

I danni alle strutture, causati dalla guerra, ne compromettono l'utilizzo, come nel caso delle strutture sanitarie non operative per più della metà, senza considerare i danni alle scuole: 256 quelle definitivamente distrutte a fine 2017, senza contare quelle “riconvertite” nell'utilizzo, come nel caso delle 150 adibite a rifugio e le 23 occupate da gruppi armati.

Un paese inserito tra i più poveri del Medio Oriente già prima del conflitto, e colpito dalle “restrizioni sulle importazioni”che l'Unicef chiede siano immediatamente revocate, come e restrizioni sul carburante, necessario per alimentare ospedali, sistemi idrici e quelle sulle importazioni di ciò che dovrebbe essere di libero accesso e garantito: il cibo.