Il promessificio è cominciato e ha coinvolto tutti, senza distinzioni. Dall’abolizione del canone Rai al Jobs Act, dalla Legge Fornero allo Spesometro, dalle tasse universitarie all’obbligo sui vaccini. Chi più ne ha più ne metta, insomma. In questa prima tranche di campagna elettorale i partiti si sono sfidati con la loro unica arma a disposizione: fare il solletico ai malumori dell’elettorato puntando alla cancellazione dei provvedimenti più controversi delle passate legislature. Di visione futura o di programmazione politica neanche a parlarne.

Del resto risolvere le beghe interne continua a rappresentare la vera priorità di molte forze politiche, impelagate con i loro leader a sbrogliare la matassa legata in primis alle agognate candidature. Basti pensare al Centrodestra, l’unica coalizione potenzialmente vincente stando ai sondaggi, del quale paradossalmente ancora non si conosce il nome del candidato premier. Il testa a testa tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, a dispetto dell’accordo a quattro siglato sotto l’albero di Natale, si arricchisce ogni giorno di nuovi elementi contraddittori. Tra i due capi popolo vincere le elezioni del 4 marzo, a conti fatti, resta il vero obiettivo comune. Troppo poco, forse, per considerarsi al riparo da turbolenze pronte a scatenarsi da qui alle prossime settimane di confronto elettorale.

Occhio alle Regionali

A complicare il tutto le Regionali, con le urne in Lombardia e Lazio che potrebbero intercettare e trainare flussi di voti decisivi per le politiche nell’election day. In tal senso il Centrodestra appare avviato verso un importante compromesso: Salvini avrà il suo candidato che dovrà raccogliere l’eredità di Roberto Maroni (Attilio Fontana ndr), Berlusconi avrà l’ultima parola sulla scelta nel Lazio (Maurizio Gasparri è in pole position, con Sergio Pirozzi destinato a lasciare).

Una spartizione in piena regola che dovrebbe far felice tutti consentendo di superare un primo scoglio piuttosto insidioso per la coalizione dei moderati. Dall’altro lato della barricata, nel Centrosinistra, Partito Democratico e Liberi e Uguali dialogano per necessità e non per convinzione. L’accordo su Giorgio Gori in Lombardia potrebbe saltare in extrimis consegnando il pupillo di Matteo Renzi alla sconfitta certa.

Permane invece qualche speranze con Nicola Zingaretti nel Lazio. Su scala nazionale, invece, si viaggia su binari paralleli che resteranno fatalmente tali. Se poi dovessero schiudersi scenari di larghe intese post voto, la soap tra ex compagni potrebbe arricchirsi di una nuova puntata. Pietro Grasso, infatti, non ha escluso un dialogo con i vertici del Nazareno.

Euro un non problema

Tra uno scivolone sul congiuntivo e l’altro, Luigi Di Maio prosegue a ritmo serrato il suo rally per l’Italia. Non smarcandosi dal ritornello unanime sulle abolizioni, anche il capo politico grillino ha voluto fornire il suo contributo. Di Maio ha puntato il dito contro la burocrazia all’italiana annunciando la cancellazione immediata, una volta al governo, di ben 400 leggi segnalate online direttamente dagli imprenditori e dagli stessi cittadini.

Saranno eliminati senza discussioni, invece, i contestatissimi sudi di settore che “non possono rappresentare modelli di lotta all’evasione fiscale”. Novità anche sul fronte pensionistico con il varo della quota 41: dopo 41 anni di contributi si accederà alla pensione indipendentemente dal rapporto “tra tempo di lavoro ed età pensionabile”. Ciò che ha fatto discutere, invece, è la giravolta di Di Maio sull’euro: da male assoluto la moneta unica si è trasformata in un non problema, a patto che cambino le regole che la governano. Una posizione analoga alla Lega (fatta eccezione per la possibilità di indire un referendum) che così ha corretto il tiro nelle ultime ore con Salvini: “L’opzione di uscire dall’euro è aperta per tutelare l’interesse delle famiglie e delle imprese, ma l’obiettivo è cambiare le politiche europee”.