Nessuno avrebbe scommesso un euro sulla fine naturale della legislatura, perché il governo di centrosinistra nato dalle ceneri dell'esecutivo di Matteo Renzi veniva dato come una traballante nave di passaggio. A tutti gli effetti è stato transitorio, ma sarebbe sbagliato definirlo un governo che ha 'tirato a campare'. Durante la gestione di Paolo Gentiloni sono state approvate 85 leggi, praticamente una ogni quattro giorni. Tra i provvedimenti di iniziativa parlamentare sono da segnalare la nuova legge elettorale (passata con la fiducia), la legge sul biotestamento e l'introduzione del reato di tortura.

Tra le normative approvate su iniziativa governativa sono senza dubbio rilevanti la manovra di assestamento della scorsa primavera ed il decreto legge fiscale connesso alla manovra 2018. Senza contare il decreto Sud e tre decreti salva banche e risparmiatori. L'esecutivo di Paolo Gentiloni ha portato al via libera del disegno di legge annuale sulla concorrenza che era stato presentato nel 2015 dal Governo Renzi, ha cancellato i voucher ed istituito il codice del terzo settore per quanto riguarda il lavoro, mentre nell'ambito della giustizia è stato dato l'ok alla riforma sul processo penale con la delega al riordino della disciplina delle intercettazioni. L'immagine dell'Italia che Paolo Gentiloni lascia in eredità al premier della coalizione che vincerà le Elezioni politiche del 4 marzo non è quella un Paese sull'orlo del collasso economico ed invaso da orde di migranti 'brutti, sporchi e cattivi' così come vorrebbero far credere quelle forze politiche che mirano semplicemente ai voti della paura e del rancore.

Al contrario, è un Paese che sta cercando faticosamente di sollevarsi da una lunga crisi che non è ancora stata messa alle spalle.

L'ipotesi di una 'Grande Coalizione'

Ciò che i leader politici hanno compreso, al di là di chiassosi proclami televisivi e di piazza, è l'oggettiva difficoltà alle urne di ottenere una maggioranza che possa garantire un governo stabile.

Tornano dunque di moda due parole che, in questo momento, tutti rigettano come la peste: 'Grande Coalizione'. Tutti pertanto la escludono, ad inziare da Silvio Berlusconi che si dice convinto di raggiungere addirittura il 45 % (inteso come coalizione di centrodestra) e da Luigi Di Maio che aspira al 40 %, ma mette nel contempo le mani avanti.

"Se non otteniamo la maggioranza governeremo con chi ci sta", ha spesso ribadito il candidato premier del M5S e, seppur indiretto, l'invito sta aprendo sin d'ora un dialogo a distanza con Liberi e Uguali, nuova creatura di sinistra guidata da Pietro Grasso. Matteo Renzi sta invece cercando di raccogliere i cocci delle sue fallite rottamazioni, all'interno del PD alcune correnti gradirebbero da subito una candidatura a premier di Paolo Gentiloni o Marco Minniti, ma a meno di clamorosi ribaltoni sarà Renzi a tentare di rientrare a Palazzo Chigi dall'ingresso principale.

Il perfetto 'garante'

Se però - come traspare chiaramente dai sondaggi - nessuno raggiunge l'auspicato 40 %, un esecutivo di larghe intese è l'unica soluzione in grado di dare stabilità al Paese.

La novità evidente è la fine del bipolarismo: lo si deve alla crescita esponenziale dei consensi pentastellati, ma questa mappatura politica determina un ulteriore frazionamento dei consensi. Stando all'ultimo sondaggio Demopolis, in questo momento il centrodestra unito (Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia e quarto polo) supera di poco il 36 %: alzare l'asticella non è impossibile, ma a meno di due mesi dal voto è alquanto difficile. Il Movimento 5 Stelle è di poco sotto al 30 % (29,2) l PD insieme agli altri partiti del centrosinistra raggiunge un ipotetico 27 % mentre Liberi e Uguali sarebbe al 6,5. Di maggioranze, pertanto, nemmeno a sognarle e se si dovesse trovare un accordo per le citate larghe intese, serve una figura a garanzia delle stesse.

Non un tecnico, ma certamente un politico e nessuno sarebbe più adatto del premier uscente a questo ruolo. Sobrio e mai incline alla polemica gratuita, lavoratore 'silenzioso' e reduce da un'esperienza tra le migliori, se paragonata ai governi dell'ultimo decennio: tutte le strade portano a Paolo Gentiloni. Restano da individuare le forze politiche di scranni opposti disponibili al dialogo: PD e Forza Italia? Una supposizione logica, ma prematura. Sono considerazioni da post-voto, l'unico dato evidente prima dell'appuntamento elettorale è la difficoltà comunue a tutti di creare una maggioranza. Un governo 'allargato', con la presenza del PD, lo vedrebbe certamente in pole position per presiedere nuovamente il Consiglio dei ministri.

La fiducia degli italiani

Sempre secondo i sondaggi, Gentiloni è il politico che riscuote maggior fiducia negli italiani. In base ad un'indagine Ixé condotta per Huffington Post tra l'8 ed il 10 gennaio scorsi, il premier uscente avrebbe un gradimento pari al 35 %. Inoltre, la maggioranza degli intervistati alla domanda su 'chi vedrebbe come capo del governo nel caso in cui nessuno raggiunga la maggioranza', ha indicato Gentiloni nel 26 % dei casi, contro l'8,5 di Mario Draghi, il 6 di Romano Prodi, il 3,3 di Enrico Letta, il 2,8 di Nicola Gratteri, l'1,3 di Franco Frattini e l'1 % di Giuliano Amato. Il gradimento per Gentiloni è assolutamente maggioritario tra l'elettorato di centrosinistra (61,5), ma è anche il leader di un governo di larghe intese più credibile per gli elettori di centrodestra (16,1) e di Liberi e Uguali (26,4).

Gli elettori del M5S, nel caso certamente poco gradito di una 'Grande Coalizione', hanno indicato Mario Draghi (11,6 %), scelta decisamente incredibile considerato che stiamo parlando del direttore della BCE e di un partito con una larga componente euroscettica ed anti-bancaria. Ma la coerenza, di recente, non è da considerare una dote grillina. Gli italiani, pertanto, hanno fiducia in Gentiloni, ma allo stesso modo hanno perso fiducia nella politica. Tra tutti i sondaggi effettuati, la percentuale di chi ha dichiarato che diserterà le urne oscilla tra il 32 ed il 39 %.