Il 21 gennaio scadono i termini per la presentazione di coalizioni, liste e partite per le prossime politiche del 4 marzo. È previsto un boom. Gli italiani saranno chiamati a votare per il nuovo Parlamento, e gli schieramenti stanno monopolizzando i media nazionali con i loro rappresentati, fra promesse (tante), attacchi verso l'avversario (troppi) e presentazioni dei programmi politici (pochi).

I primi sondaggi ci consegnano una fotografia del paese ancora più frammentata di quanto fosse lecito aspettarsi. Il sistema tripolare sembra consolidarsi grazie alla profonda crisi del Partito Democratico (ai minimi storici dei consensi secondo gli analisti, e assente nel Mezzogiorno dove la lotta si profila tra centro-destra e Movimento 5 Stelle), alla stagnazione del Movimento di Grillo (che non riesce a conquistare il 30% dei consensi che garantirebbe un buon premio di maggioranza e che non obbligherebbe ad alleanze "sgradevoli" post-voto) e alla risalita del centro-destra, schieramento compatto che vede il ritorno prepotente di Silvio Berlusconi (a discapito del segretario leghista Salvini, relegato ad un ruolo di comprimario).

Se il risultato delle precedenti elezioni del 2013 aveva certificato la crisi definitiva del modello bipolare figlio della Seconda repubblica - aprendo ad una possibile nuova fase del sistema politico italiano -, la tornata elettorale del 4 marzo rischia di ripresentare stilemi triti e ritriti.

La campagna elettorale entrerà nel vivo a partire dalla scadenza dei termini di presentazione dei simboli. Eppure nessun partito sembra intenzionato a discutere sul tema dell'esercizio del diritto al voto dei fuori sede. Il Rosatellum bis prevede il vincolo di residenza per l'esercizio del voto da parte dei cittadini italiani. In questo modo, almeno due milioni di persone sono tagliate fuori, a meno di presentarsi presso il seggio elettorale del comune di residenza.

Una previsione alquanto ottimistica dato il crollo della partecipazione politica degli italiani verificatasi negli anni.

Per chi è lontano dal proprio comune per ragioni lavorative, di studio o di malattia è impossibile votare

Come è possibile che per questi cittadini le istituzioni non prevedano una possibilità di esercitare il diritto costituzionale del voto?

Diversi cittadini dallo spiccato senso civico affrontano lunghi viaggi per poter segnare una croce sulla scheda elettorale. Viaggi che - nonostante le agevolazioni sul prezzo dei trasporti e i rimborsi - risultano costosi e difficilmente organizzabili per una mera questione di tempo, e che - di votazione in votazione - allontanano sempre più cittadini dall'esercizio democratico del voto.

Un boccone amaro, difficile da digerire, per chi ancora crede nella sacralità della scelta e nel dovere civico del voto, soprattutto se si considera l'impegno istituzionale nel garantire il voto degli italiani all'estero, che nei fatti retrocede i fuori sede a Cittadini di Serie C.

Da tempo diversi comitati come #iovotofuorisede si battono per presentare proposte di legge che possano garantire l'esercizio costituzionale del voto per i fuori sede, appellandosi con forza alla parte dell'art. 3 della Costituzione che sentenzia che "è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese".

Appello che fino a questo momento è rimasto inascoltato e che non permette a milioni di persone di partecipare attivamente "all'organizzazione politica del paese".

La (mancata) svolta dell'early vote

L'entrata in vigore della legge elettorale è stata preceduta, da una fase - precedente al voto finale in seconda lettura - emendamentaria, in cui i deputati hanno presentato delle modifiche alla legge in discussione. Tra i vari (inutili) emendamenti è interessante citare il lavoro di Andrea Mazziotti, Presidente della Commissione Affari Costituzionali. Il deputato ha presentato delle richieste di modifica al testo finale della legge elettorale, dedicando attenzione al problema del voto fuori sede attraverso l'inserimento di un ottavo comma all'articolo 3.

Il testo dell'emendamento riporta espressamente la possibilità di garantire il voto fuori sede attraverso il sistema dell'early vote (voto anticipato) nelle prefetture delle città in cui il cittadino dimora per motivi di lavoro, studio o salute. Una possibilità che sarebbe stata garantita dall'approvazione di questo emendamento al Rosatellum Bis (negata) o attraverso un decreto governativo che regolamentasse le modalità del voto in mobilità (mai decretato). Insomma, ci vediamo alle prossime elezioni. Se avremo ancora voglia di votare.