Quasi 5mila nomadi ufficiali, chissà quanti altri “abusivi”, centri di raccolta, baraccopoli istituzionali e microinsediamenti spontanei. Il popolo rom ama Roma, ma Roma fatica ad accoglierli. Terre di nessuno, luoghi dimenticati da Dio dove anarchia, criminalità, roghi, faide e discariche abusive dominano incontrastati.

E, soprattutto, dove lo Stato fatica a entrare per imporre le più elementari regole di convivenza civile. Questo e tanto altro è la questione nomadi. Una questione irrisolta, dove l’inadeguatezza non ha colore politico. In Campidoglio ci hanno provato tutti ma nessuna amministrazione è riuscita a partorire quell’integrazione che l’Europa pretende.

Siamo di fronte alla storia di una fallimento capitale, una guerra tra poveri tra chi vive i campi e chi vive vicino quei campi, le famiglie romane.

I MODELLI DELL’INTEGRAZIONE FALLITA - Qualche esempio? Tor Sapienza, quadrante periferico est della Capitale. Due le baraccopoli formali: Salviati I e Salviati II, composte in prevalenza da moduli abitativi prefabbricati in pessime condizioni. Nell’aprile 2015 risultavano ospitare al loro interno rispettivamente 401 e 135 persone di varie nazionalità. Una convivenza difficile con ripercussioni igienico-sanitarie pesanti anche per le famiglie romane che risiedono a due passi. I roghi tossici infatti sono ormai un pane quotidiano, che non si riesce più a digerire.

Dice il presidente del Cdq Tor Sapienza, Roberto Torre: “Tanti soldi che non hanno portato miglioramenti, i roghi, l'inquinamento alle stelle, rabbia dei residenti, sicurezza zero. 20 anni di martirio sia per chi ci abita sia per chi subisce”. Riassunto perfetto. Andiamo 15 km più a sud, direzione Ciampino. Da quelle parti, tra Capannelle e l’aeroporto Pastine, giace il villaggio della solidarietà “La Barbuta”.

Il territorio di riferimento è il VII Municipio. Di inaugurazione alemanniana, l’insediamento ospita circa 500 nomadi di varie etnie: un contesto sociale tostissimo, fatto di contrasti e incendi tossici. Ciliegina della torta avvelenata è la montagna di rifiuti che circonda il perimetro del villaggio: tanto grande da essere immortalata dai satelliti di Google Maps… vi basta?

Nemmeno per sogno, perché la Barbuta è il simbolo del fallimento del Comune di Roma nelle politiche di accoglienza. Lo mette nero su bianco il tribunale civile di Roma, che nel 2015 ha riconosciuto “il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale, che si concretizza nell’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato la Barbuta". Un pronunciamento storico, per l’associazione 21 Luglio: “per la prima volta in Europa infatti un tribunale ha giudicato ghettizzante un campo rom istituzionale”.

MILIONI DI EURO BUTTATI – Giusto o sbagliato che sia, l’approccio alla questione nomadi presenta un dato sicuro, certo, inequivocabile: la vagonata di milioni di euro partita per sorreggere invano l’attuale modello di integrazione dei rom a Roma.

Modello condito da tutta una serie di sgomberi di insediamenti abusivi, dimostratisi sostanzialmente un palliativo. Qualche numero: nel solo 2015 sono stati registrati a Roma 80 sgomberi forzati. Essi hanno coinvolto 1470 persone tra cui numerosi bambini e donne. Il costo totale stimato, secondo un sondaggio della 21 luglio, è di 1844.850 euro, praticamente 1255 pro capite. Un esborso di soldi pubblici da non reiterare. Quale la situazione del piano nomadi oggi? A gennaio ha parlato l’assessore capitolino ai Servizi Sociali, Laura Baldassarre: “La situazione dei campi è peggiorata negli anni, è un modello che non funziona. La Polizia municipale farà un censimento puntuale di tutti i campi anche rispetto a quante persone ci sono e poi vogliamo fare un’indagine patrimoniale per capire chi realmente ha bisogno di assistenza e chi no. A breve ci sarà un intervento anche sui roghi tossici. Bisogna ristabilire la legalità, che è nostra ed è loro”. Questi i propositi, ora bisognerà metterli in pratica.