Era giugno dello scorso anno quando il Garante della Privacy fu chiamato in causa per esprimere un parere su un argomento particolarmente sensibile, la procedura per formalizzare, su un documento ufficiale quale è la carta di identità, la propria disponibilità o contrarietà alla donazione degli organi. A distanza di un anno, oltre 1.100 Comuni hanno attivato il servizio dove oltre 270 mila persone si sono recate per registrare la propria volontà. Di questi, il 91% ha dichiarato la disponibilità alla donazione dei propri organi.

Un cambiamento che si sta diffondendo

Parliamo della possibilità di poter dichiarare, sulla carta di identità, la propria volontà alla donazione dei propri organi, in caso di decesso. Sono quasi 1.100 i Comuni in tutta Italia, dalle grandi città come Roma e Milano, alle città del sud come Reggio Calabria e Potenza, a quelle delle isole come Siracusa e Cagliari, ad aver attivato la procedura.

In tutte queste città, quando un cittadino si reca all’anagrafe, per il rilascio o rinnovo del documento di identità, si sente chiedere dal funzionario di turno se intende dichiarare o meno la propria volontà in merito alla donazione degli organi e, in caso affermativo, se è favorevole o contrario. Se un cittadino esprime il suo parere favorevole, in caso di decesso la famiglia sarà esonerata dal prendere una posizione in merito.

Si tratta di una scelta estremamente delicata e importante, ed è quindi preferibile che ognuno possa decide per sé. In assenza di una dichiarazione ufficiale, in caso di decesso saranno i parenti a dover decidere e, dato il momento di forte tensione emotiva in cui una richiesta di questo tipo normalmente avviene, non è certo una scelta semplice.

Ma esiste anche la possibilità di effettuare delle donazioni tra viventi consanguinei o meno, è il caso di coloro che “offrono” un organo, spesso un rene, a favore di un conoscente, un figlio, un coniuge o altro parente o conoscente. C’è poi la cosiddetta “donazione samaritana”, ovvero chi decide di offrire un proprio organo a favore di “chi ne ha bisogno”, senza conoscere l’identità del ricevente.

Dopo un anno il bilancio è decisamente positivo

Si trattava di trovare quel modus operandi che mettesse d’accordo il diritto di ognuno a poter decidere su una argomento delicato come la donazione dei propri organi in caso di decesso e, allo stesso tempo, di assicurare una certa privacy a questa scelta. A giugno dello scorso anno, il Garante della Privacy aveva dato parere favorevole all’inserimento di questa informazione sulla carta di identità. Sia il Ministero dell’Interno che quello della Salute aggiornarono le relative linee guida in accordo con le indicazioni del Garante, e finalmente si poteva partire.

Sono tanti gli organi “donabili”, dal fegato al cuore, dal pancreas ai reni, dai polmoni alle cornee.

Una scelta che può voler dire “nuova vita” per un paziente da qualche parte del mondo. Il “donatore”, o meglio i suoi parenti, non conosceranno l’identità di questo paziente ma potranno sapere se l’intervento ha avuto successo. Un modo, forse, per dare un senso alla perdita del proprio caro.

I dati comunicati a metà luglio da Alessandro Nanni Costa, direttore del centro nazionale trapianti, vanno oltre le più rosee previsioni. Infatti circa 250 mila persone hanno espresso una volontà favorevole alla donazione (quasi il 91%) mentre meno di 25 mila hanno voluto mettere per iscritto la propria contrarietà (circa il 9%).

A fronte di queste nuove procedure, quanti trapianti ci sono stati effettivamente?

Una decina circa, secondo Nanni Costa. Un buon inizio, se consideriamo che questo meccanismo si attiva con il decesso del donatore e quindi, negli anni il numero dei donatori potenziali aumenterà progressivamente. Importante una precisazione: chi ha espresso la sua volontà in merito alla donazione, può cambiare idea in qualsiasi momento e fa modificare quanto precedentemente dichiarato.