A fine ottobre l’agenzia regolatoria degli Stati Uniti, FDA (Food and Drug Administration) ha approvato atezolizumab (Tecentriq) della Genentech, un anticorpo monoclonale anti-PD-L1 già precedentemente approvato nel carcinoma uroteliale (vescica). Questa nuova approvazione arriva dopo aver visto i risultati di due grossi studi clinici internazionali, lo studio OAK di Fase 3 e lo studio POPLAR di Fase 2. In entrambi i casi, la terapia con atezolizumab ha assicurato una sopravvivenza più duratura rispetto ai pazienti trattati con le terapie convenzionali.

Ma questo non è l’unico anti-PD-L1 approvato. Segnale verde è arrivato anche per altri due anticorpi anti-PD-L1: pembrolizumab (Keytruda) sviluppato dalla Merck e nivolumab (Opdivo) sviluppato dalla Bristol-Myers Squibb.

L’immunoterapia nell’oncologia polmonare

I farmaci biologici, in particolari le immunoterapie, stanno lentamente soppiantando le terapie tradizionali. Si tratta della nuova generazione di farmaci detti “target” cioè progettati e sviluppati per colpire selettivamente uno specifico target biologico. E questo dovrebbe assicurare un miglior indice terapeutico e minori effetti collaterali, oltre ad una maggiore probabilità di successo.

Tuttavia, è doveroso puntualizzare che questi nuovi farmaci “non curano” dai tumori, come uno potrebbe auspicare, ma ne aumentano mediamente la sopravvivenza.

Atezolizumab, ad esempio, nello studio clinico di fase 3, ha dato una sopravvivenza media di 13,8 mesi rispetto al gruppo trattato con docetaxel, un chemioterapico tradizionale, la cui sopravvivenza è stata di 9,6 mesi. Stiamo infatti parlando di una popolazione di pazienti cosiddetti terminali, cioè che hanno tumore in uno stadio avanzato e metastatizzato.

Quindi, in questi casi, anche un successo parziale è sempre un successo per il paziente e un passo avanti per la ricerca.

Il dosaggio raccomandato per atezolizumab è di 1200 mg endovena, mediante lenta infusione (60 minuti) ogni tre settimane. Monitorando attentamente eventuali effetti tossici o intolleranze. I pazienti a cui la nuova terapia è destinata sono coloro che sono stati già sottoposti, senza successo o divenuta inefficace, ad un’altra terapia e che presentano un’aberrazione genetica su EGFR o ALK.

Ovvero, l’indicazione arrivata dall’FDA per atezolizumab è di farmaco di “seconda linea” o “seconda scelta”.

Non solo Atezolizumab

L’ente regolatorio americano (FDA) ha dato parere favorevole anche per altri due anti-PD-L1: uno sviluppato dalla Merck, pembrolizumab (Keytruda), ed il secondo sviluppato dalla Bristol-Myers Squibb, nivolumab (Opdivo).

Con tre nuove immunoterapie a disposizione su NSCLC, le possibilità di intervento per gli oncologi sono enormemente aumentate. Il vero problema è disporre di biomarker in grado di poter stabilire subito quale paziente è eleggibile per una terapia e quale per un’altra. O quale potrà essere la combinazione migliore tra più farmaci immunologici. Ovvero andare verso una medicina “personalizzata”.

La combinazione di più farmaci, pratica ormai sempre più seguita nei protocolli clinici, serve a limitare il problema dell’insorgenza di forme di resistenza nei tumori che sembrano molto lesti ad attivare meccanismi di “difesa” per cui una singola terapia, inizialmente efficace, diviene rapidamente inattiva.

Ma cos’è PD-L1? Si tratta di una proteina detta ligando della morte programmata cellulare ovvero “programmed cell death-ligand 1”. Gli anticorpi che si legano e bloccano questa proteina, come quelli che abbiamo appena descritto, possono quindi trovare utile applicazione non solo nel tumore al polmone ma anche in altre forme tumorali dove un blocco di PD-L1 può portare ad una efficacia risposta terapeutica, come nel cancro alla vescica e ai reni.