Viene rilanciata oggi, dall’edizione online della Stampa, la battaglia contro l’amianto. Non è un caso che sia il quotidiano torinese ad occuparsene, visto che il centro simbolo prima della produzione e successivamente della lotta all’Amianto è Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, proprio in Piemonte. La cittadina alessandrina fu il cuore pulsante che portò alla creazione della legge 257 del 1992, che riconosceva la pericolosità della fibra e che ne vietava produzione e utilizzo in Italia. Ma non la rimozione. E su questo tasto preme La Stampa, denunciando come sia ancora poca la chiarezza sugli sgravi che si possono ottenere per la rimozione del cosiddetto eternit e sugli iter attivi da intraprendere.

Un problema ancora sottovalutato?

La pericolosità dell’amianto è nota ormai a tutti. Il processo che ha riguardato i proprietari della fabbrica di Casale Monferrato è di dominio pubblico, così come gli allarmanti dati sui decessi che hanno riguardato il paese.

L’amianto infatti è la principale causa del terribile mesotelioma pleurico, ma è spesso responsabile anche del più classico carcinoma polmonare, il cui picco si stima sarà nel 2020. Tuttavia la presenza di amianto sui tetti, tubature, coibentazioni, capannoni, ospedali è ancora capillare e non se ne riconosce il ruolo come emergenza sanitaria. Anche la bonifica è lenta, e spesso è spinta da bonus o campagne di informazione che sono si tenaci ma anche lente ad attecchire.

Dipendenti pubblici non adeguatamente formati e iter disomogenei

A non favorire la battaglia contro la fibra killer, è la confusione burocratica che si viene a creare quando un cittadino vuole intervenire, chiedere informazioni in proposito o denunciare presenza di asbesto. Il personale delle istituzioni spesso non è formato a contrastare questo problema; e il cittadino ottiene risposte che non fanno altro che aumentare la confusione, portando l’utente a desistere dai suoi intenti.

Ogni regione applica un protocollo differente ma il centro regionale amianto del Piemonte, è uno dei più all’avanguardia e intraprende un iter preciso. Una volta infatti che il cittadino avvisa il comune o lo stesso comune ravvisa la presenza di eternit, questo, tramite il sindaco, trasmette la documentazione all’ARPA che deve verificare lo stato di degrado e se si tratti realmente di amianto.

Segue la trasmissione alla ASL che verifica l’indice di esposizione e da qui si passa a decidere quali interventi compiere: bonifica diretta o messa in sicurezza. Da qui l’iter dalla ASL tornerà all’ARPA e quindi al sindaco che notificherà al proprietario del fabbricato il provvedimento, anche sostituendosi a questo se necessario e naturalmente accollandogliene le spese.

Massimo D’angelo del centro regionale piemontese, spiega come gli sportelli amianto a cui potersi rivolgere in Italia sono ancora troppo pochi e ancora non si comprende appieno come smaltire l’amianto possa ottenere importanti agevolazioni e avere anche un ritorno per l’economia facendo lavorare le imprese che si occupano della bonifica. L'obiettivo, in concomitanza col picco di tumori causato dall'amianto, è quello di avere un Italia libera dalla fibra cancerogena entro il 2020.