L'obesità addominale aumenta con l'età e si associa alla comparsa di malattie cardiovascolari e metaboliche (diabete di tipo 2). Quale metodo nutrizionale è più adatto per contrastare l'accumulo di grasso viscerale?

Se lo sono chiesto i ricercatori svedesi della Umeå University, che hanno condotto uno studio di confronto tra la dieta paleolitica e quella ipocalorica classica (di controllo), in donne di età compresa tra 54 e 66 anni in menopausa, in sovrappeso/obese con presenza di grasso addominale.

Entrambi i metodi hanno ridotto il peso corporeo e il grasso del girovita, ma quello paleolitico in modo più evidente.

In particolare, è stato osservato che la dieta paleolitica, ricca di acidi grassi polinsaturi e povera di carboidrati, ha migliorato significativamente l'insulino-sensibilità e la tolleranza al glucosio, ha diminuito i trigliceridi nel circolo sanguigno e i fattori promuoventi la lipogenesi (sintesi dei grassi) nel tessuto adiposo sottocutaneo, sia dopo 6 mesi che a 24 mesi dall'inizio delle diete.

Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista "European Journal of Nutrition" a fine ottobre 2017.

Markers nel tessuto adiposo

Il tessuto adiposo (massa grassa), in seguito alla lipogenesi, conserva energia sotto forma di goccioline di lipidi (trigliceridi). È stato rilevato che gli enzimi sintasi degli acidi grassi (FAS) e aciltransferasi dei digliceridi (DGAT2), implicati nella sintesi dei trigliceridi negli adipociti, così come l'espressione di CD36 (trasportatore di acidi grassi negli adipociti), aumentano proporzionalmente all'insulina sia nell'obesità che nel diabete 2.

Anche un altro enzima è sovraregolato da insulina e obesità: la lipasi delle lipoproteine (LPL) che idrolizza le lipoproteine nel circolo sanguigno e produce acidi grassi, che a loro volta entrano nelle cellule adipose e sono utilizzati per la sintesi e accumulo di trigliceridi nell'adipe.

Questi marcatori sono influenzati da fattori nutrizionali come digiuno, livelli di glucosio e insulina.

Lo studio

Le donne in post-menopausa, con un indice di massa corporeo (BMI) compreso tra 27 e 41 kg/m2, sono state suddivise in due gruppi: uno ha seguito il regime paleolitico (30% di proteine, 30% di carboidrati e 40% di grassi monoinsaturi e polinsaturi), con somministrazione di carne magra, pesci, uova, ortaggi, frutta, bacche e semi oleosi, avocado, olio di oliva e privo di derivati del latte, sale, grassi raffinati e zucchero; l'altro, invece, una dieta di controllo basata su raccomandazioni di nutrizione nordica, composta da 15% di proteine, 55% di carboidrati e 30% di grassi.

Sono stati analizzati i livelli di glucosio e lipidi nel plasma, gli acidi grassi liberi e l'insulino-sensibilità mediante il modello di omeostasi per l'insulino-resistenza (HOMA-IR); il tessuto adiposo sottocutaneo è stato aspirato in anestesia locale per valutare i marker coinvolti nella sintesi dei grassi.

Il metodo paleolitico ha rivelato un effetto più pronunciato sul metabolismo dei grassi, avendo ridotto gli enzimi lipogenici DGAT2 FAS e LPL. Di conseguenza, è stato riscontrato un decremento dei livelli circolanti dei trigliceridi e un miglioramento dell'insulino-sensibilità.