Il fatidico “sì” sembra l’antidoto migliore al rischio di ammalarsi di demenza. L’indagine che riporta questo risultato è una metanalisi retrospettiva su 15 studi pubblicati fino al 2016, ed è stata molto estesa comprendendo 812.000 partecipanti, di cui la metà ultra-65enni, residenti in Europa, Nord e Sud America e Asia. Il risultato è stato che il matrimonio, anche se poi naufragato in una separazione o divorzio, riduce del 42% la probabilità di ammalarsi di demenza. Difficile interpretare questo dato ma, a parere degli autori dello studio, i risultati non lasciano dubbi.

Un “vaccino” contro la demenza

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nei prossimi 30 anni i casi di demenza saranno triplicati, passando dai 50 milioni attuali ai 150 milioni, entro il 2050. E’ la conseguenza del progressivo invecchiamento della popolazione mondiale, un importante problema sanitario entrato di diritto nelle agende sanitarie di tutti i Paesi. E’ in questo contesto che si inserisce uno studio - appena pubblicato su J Neurol Neurosurg Psychiatry, in open access (accessibile liberamente tutti), da un team di ricercatori della University College di Londra, primo autore da Andrew Sommerlad.

La ricerca ha preso in esame 15 studi, con oltre 812mila partecipanti di cui la metà ultra-65enni, i cui dati sono stati corretti per età, sesso, livello di istruzione e stato civile.

La metanalisi ha portato ad una insolita conclusione: i soggetti singoli avevano un rischio demenza del 42% superiore alle persone sposate. I soggetti rimasti vedovi avevano comunque, in qualche modo, “beneficiato” dell’esperienza matrimoniale con un rischio demenza del 20% superiore. Mentre le persone divorziate avevano una probabilità di rischio demenza dello stesso ordine delle persone sposate.

Lo studio è da considerarsi piuttosto robusto in quanto ha preso in esame ampie popolazioni, di numerosi Paesi, in diversi periodi. Tutti i risultati sembrano convergenti: l’essere sposato assicura una minore probabilità di sviluppare la demenza. Anche se non sono state chiarite le cause che portano a questo risultato. Il fatto che i vedovi hanno comunque un incremento di probabilità di ammalarsi di demenza del 20% può essere associato ad una condizione di stress per la perdita del partner.

Mentre il divorzio sembra non avere alcuna influenza sullo sviluppo di questa malattia.

Una patologia destinata a triplicarsi

I disturbi mentali e neurologici rappresentano oggi il 6,6% della disabilità totale tra gli anziani. Nel mondo si stima che sono 50 milioni i soggetti affetti da demenza. Numero destinato ad aumentare a 75 milioni nel 2030, per arrivare a 150 milioni nel 2050. Un dato, secondo la OMS, triplicato rispetto a quello attuale. E questo avrà un forte impatto economico sui sistemi sanitari dei Paesi. Già adesso si stima che il costo della demenza, dovuto alla perdita di lavoro, alle spese per l’assistenza (caregiver), alle spese mediche e per l’acquisto dei farmaci, ha un impatto sul PIL stimato all’1%.

Per questo la OMS ha appena istituito un sistema di monitoraggio globale (Global dementia observatory, Gbo) al fine di avere un costante monitoraggio di questo fenomeno, sia nei singoli Paesi che a livello globale. I primi dati arrivati a questa piattaforma, da 21 Paesi, stanno permettendo l’attivazione di interventi mirati a contrastare il fenomeno, soprattutto nei contesti dove questo ha una maggiore incidenza.

Questo studio inglese ha messo in evidenza l’influenza che il matrimonio può avere sulla probabilità di insorgenza della demenza. Ma ci sono anche altri fattori che possono influire come il livello di istruzione, il reddito, gli interventi su coloro che si trovano a vivere delle condizioni di stress.

E’ importante quindi aver messo a fuoco il problema, come hanno giustamente fatto gli esperti dell’OMS. Ma è altresì importante averlo presente, nella nostra quotidianità. E questo non vuol dire necessariamente sposarsi, per “vaccinarsi” contro la demenza, ma intervenire prontamente in tutte le condizioni di disagio e di stress.