Secondo uno recente studio dell'Institute for Health Metrics and Evaluation dell'Università di Washington, tra le prime venti nazioni al mondo per velocità di crescita del tasso di obesità, otto sono africane. In Paesi come Ghana, Togo, Etiopia o il Benin la diffusione di obesi adulti negli ultimi 36 anni è aumentata del 500%. In Burkina Faso si arriva addirittura a un incredibile +1400%. Nel complesso, l'africa subsahariana è la regione in cui l'obesità si sta diffondendo più rapidamente al mondo. Le cause di quella che si preannuncia come una vera e propria emergenza sanitaria, in un continente spesso associato alle carestie e alla fame, sono tante, ma hanno tutte una radice comune: il modello di sviluppo adottato da alcuni Paesi, che sta portando a una rapida, anche se controversa, crescita economica.

Ma anche nuovi e imprevisti problemi.

Città, junk food, vita sedentaria

La conseguenza più visibile della crescita economica in Africa è la nascita e la crescita di vere e proprie metropoli, che attirano la forza lavoro proveniente dalle campagne. Nel 1980, solo il 28% degli africani vivevano in città. Negli anni successivi la percentuale è lievitata fino al 40% di oggi e si prevede arriverà al 50% entro il 2030. Così, la popolazione del più povero dei cinque continenti si sta trasformando a grandi passi da rurale a urbana. Masse di persone che prima erano impegnate nell'agricoltura di sussistenza, oggi hanno vite cittadine decisamente più sedentarie, in cui usano per la prima volta automobili e moto per spostarsi.

Il cibo, in questi immensi agglomerati urbani, è disponibile in grandi quantità, ma si tratta soprattutto di cibo spazzatura, quasi sempre di importazione. Alcuni dei più grandi distributori mondiali di junk food hanno iniziato a puntare il nuovo mercato africano. Secondo quanto riportato dal New York Times, Burger King, Domino's, Cold Stone Creamery e Subway hanno tutti aperto di recente i loro primi ristoranti in Kenya, come primo passo di una strategia di espansione in Africa.

Sempre in Kenya, uno dei Paesi africani in assoluto più dinamici, Coca Cola vende piccole bottiglie da 200 ml al costo di 15 centesimi. Alla portata, quindi, di chi magari non vive più nella miseria, ma è comunque ancora povero e non può permettersi cibi più costosi.

Persone come Valentine Akinyi, una residente obesa di Kibera, una periferia degradata di Nairobi, di cui leggiamo la storia nel servizio del New York Times.

Nel posto in cui vive, il cibo più diffuso e a buon mercato sono le patatine fritte e un impasto fritto, che costano 20 centesimi, mentre la quantità equivalente di mele costa esattamente il doppio ed è fuori budget per lei, che con l'equivalente di 40 dollari al mese mantiene sé stessa e i suoi tre figli. Lo stesso vale ovviamente per le iscrizioni in palestra o la frutta e la verdura fresche.

I cambiamenti sociali ed economici di cui stiamo parlando stanno investendo l'Africa a una velocità impressionante, portando spesso a cambiamenti di stile di vita tangibili nel corso di una singola vita umana. Significa che tante persone che hanno passato metà della propria vita a combattere con la fame ora hanno a portata di mano quantità relativamente elevate di cibo.

Una quantità che il loro corpo non è abituato a gestire. Secondo molti esperti del settore, infatti, chi cresce assumendo poche sostanze nutritive sviluppa sistemi per rallentare il metabolismo e trattenere così ogni singola caloria assunta. Quegli stessi meccanismi oggi stanno facendo diventare obesi tanti africani. In Kenya è obesa una persona su 10. Ancora poco, rispetto a Paesi industrializzati come gli Stati Uniti, dove è obeso un terzo della popolazione adulta, ma si tratta di un dato in crescita rapida e costante. Il numero di keniani obesi è raddoppiato rispetto al 1990.

Un sistema sanitario impreparato

A tutto ciò si aggiunga che il sistema sanitario dei Paesi africani non è preparato ad affrontare questo tipo di problemi.

Le poche risorse sono storicamente concentrate nella lotta a malattie quali l'Aids, la malaria, la tubercolosi e le febbri tropicali, più comunemente associate all'Africa. Eppure, secondo il cardiologo keniano Anders Barasa, l'emergenza legata all'obesità e a malattie ad essa legata come il diabete di tipo 2 o i problemi cardiaci "probabilmente, nel lungo periodo, sarà peggiore dell'epidemia di HIV degli anni '90" (Nyt), ma ammette che cambiare il sistema sanitario del suo Paese sarà un'impresa titanica. Barasa, per dirne una, è uno dei quaranta cardiologi che coprono i bisogni di una popolazione di 48 milioni di persone. Negli Stati Uniti c'è in media un cardiologo ogni 1300 abitanti.

Obesità e fame

Quello della sovranutrizione è l'ennesimo punto nel lungo elenco di contraddizioni dell'Africa, dove se da un lato cresce esponenzialmente il numero di persone obese, dall'altro si continua a soffrire i crampi della fame. Il 2017, da questo punto di vista, è stato uno degli anni peggiori della storia africana recente. Lo scorso marzo le Nazioni Unite lanciavano l'allarme carestia in Nigeria, Sud Sudan e Somalia, tre Paesi flagellati da guerre e lunghi periodi di siccità.

Se in queste parti del continente non si sono verificate carestie vere e proprie è stato grazie agli aiuti che riescono a raggiungere chi ha bisogno in modo più efficiente di quanto avvenisse in passato, ma migliaia di persone sono comunque morte di colera causato da malnutrizione.

Grasso è bello

C'è, infine, anche un problema di tipo culturale che porta molte persone obese a sottovalutare i propri problemi di Salute. Il New york Times racconta la storia della dottoressa Nancy Kunyiha, un'endocrinologa specializzata in diabete di tipo 2, che dopo aver proposto il passaggio a una dieta più tipicamente keniana ricca di fagioli, carote e verdure si è sentita rispondere da un ricco paziente che quello era il cibo mangiato quando da bambino faceva la fame, e che non aveva nessuna intenzione di tornare a mangiare quelle cose, pur potendoselo permettere. "È molto frustrante - ha confidato al quotidiano statunitense - l'immagine comune qui è che più grossa è la tua pancia più sei in salute".

Anche il dottor Barasa, il cardiologo, si trova sempre più spesso a suggerire di mangiare "come le nostre nonne". Ma per molti keniani la magrezza è associata alla fame. Per questo Franciah Wangari, come molti genitori keniani, non pone alcun limite alla dieta di suo figlio Samuel, che ha 13 anni è già obeso, comincia ad avere problemi di circolazione e a soffrire di dolori alle articolazioni. "Ricordo com'era quando avevi voglia di biscotti ma non potevi permetterteli in nessun modo", ha detto al New York Times.