È passato quasi un anno da quando il Corriere della Sera aveva scoperchiato il caso dei corridori a cui i team manager delle squadre di Ciclismo chiedono soldi in cambio di un contratto da professionista. Niente di così inedito per l’ambiente del ciclismo: chi respira il mondo delle corse conosce certi meccanismi, che sono quelli che regolano anche altri sport quando i livelli scendono al di sotto dell’eccellenza. Ora però l’attenzione sul fenomeno è cresciuta e dopo l’inchiesta del Corriere è partita l’indagine della procura generale del Coni.

A fornire una testimonianza chiave sulla situazione è stato Elia Viviani, sentito il 14 giugno.

Ciclismo: tre team manager rischiano la radiazione

Nella sua deposizione Viviani ha parlato di quanto successo a Marco Coledan, suo amico con cui ha condiviso anche molte gare di ciclismo su pista. Coledan ha debuttato nel professionismo nel 2012 con la squadra di Bruno e Roberto Reverberi, allora sponsorizzata dalla Colnago. Viviani avrebbe voluto Coledan con sé alla Liquigas, ma il passaggio non andò in porto perché la squadra dei Reverberi, nel frattempo diventata Bardiani, chiese a Coledan dei soldi: “Rimase sorpreso di sapere che avrebbe dovuto pagare una penale per svincolarsi dalla Bardiani, anche perché prendeva lo stipendio minimo e nessuno gli aveva detto che avrebbe dovuto pagare questa somma che non era nemmeno indicata in maniera chiara nel suo importo” ha dichiarato Viviani nella sua testimonianza resa il 14 giugno alla Procura del Coni.

Quella di Viviani è stata solo una delle dichiarazioni raccolte dalla Procura in questi mesi di lavoro. Sei corridori hanno ammesso di aver pagato per avere un contratto da professionista o di aver procurato degli sponsor alle squadre che pagassero il loro stipendio. Ma perché un corridore anziché essere normalmente stipendiato dovrebbe pagare per poter correre?

Chi è un vero talento non ha bisogno di pagare, non l’ha fatto certo Viviani, che già da dilettante era ricercato e conteso da numerose squadre che volevano farlo passare professionista. Al di sotto dei potenziali campioni e ottimi corridori c’è un ginepraio con logiche anche difficili da comprendere. Molti accettano compromessi per continuare a coltivare il sogno di avere successo, per l’appagamento del passaggio al professionismo, spinti anche dalla famiglia.

Così, al di là di quella fascia di talenti indiscussi, è spesso il lato economico più che quello sportivo a decidere chi passa al ciclismo pro e chi è costretto ad appendere la bici al chiodo anzitempo.

Il risultato dell’inchiesta della Procura è stato il deferimento di tre Team manager delle squadre Professional italiane, Gianni Savio per la Androni, Bruno Reverberi per la Bardiani e Angelo Citracca per la Wilier Southeast. I tre rischiano una squalifica che va da un anno fino alla radiazione a vita.