Da poco premiato con il premio "Nicolò Carosio", il leggendario giornalista e radiocronista italiano, Carlo Paris, ex direttore di Rai sport e storico bordocampista nei match della Nazionale italiana di calcio, di Champions League e di Coppa Italia, si racconta in un'intervista in cui preannuncia un'importante novità per il suo futuro. Queste le sue parole:

- Come cambia la comunicazione e il giornalismo con avvento dei social e delle testate online?

- Sicuramente il giornalismo ha una responsabilità maggiore rispetto al passato, perché i rischi della professione sono elevatissimi, in quanto i social portano ad un rischio di non controllo e verifica delle fonti e delle notizie.

E’ una cosa estremamente pericolosa per la nostra professione, perché poi, attraverso i social, un po’ tutti si sentono giornalisti, divulgatori di notizie. La differenza tra il professionista e chi lo fa per divertimento, è che chi lo fa per lavoro non si può permettere di pubblicare e rendere note notizie che non sono state verificate.

- Cosa significa per te ricevere il Premio Nicolò Carosio?

- Il Premio Nicolò Carosio, per un giornalista sportivo, io l’ho scritto su Facebook, è un po’ come il nobel. Era ovviamente una battuta, per dire che sei io avessi potuto ritirarlo al posto di Bob Dylan, ci sarei andato anche a piedi a Valdarno. Nicolò Carosio rappresenta la storia del giornalismo televisivo più di tutti, perché è stato l’antesignano sia in televisione che in radio.

Le sue erano delle telecronache che, secondo me, stanno, o torneranno tra breve ad essere di moda, ed io me lo auguro. Mi sono sforzato da direttore di Rai Sport, ma non ce l’ho fatta, di riportare le telecronache su binari che prevedessero meno affollamento di voci. Per esempio sulla televisione tedesca ZDF, ho sentito telecronache di partite dove si parla molto meno e si dà più spazio al rumore di fondo, come ai tempi di Nicolò Carosio.

- Le caratteristiche che dovrebbe avere un buon giornalista sportivo?

- Come ogni giornalista, non la ricerca di una verità, perché non esiste la verità assoluta, ma fare del tutto per riportare al pubblico, che siano lettori, telespettatori o ascoltatori, nel modo più imparziale possibile, ciò che noi dobbiamo raccontare. Noi siamo dei servitori, dei camerieri delle notizie, le dobbiamo portare e non elaborarle e manipolarle più di tanto.

Rimanere imparziali per un giornalista sportivo è anche rimanere distanti dai poteri che ci sono anche nello sport, e, soprattutto, dal tifo.

- Gli allenatori made in Italy stanno spopolando all'estero, vedasi ad esempio Conte e Carrera. Cosa significa questo?

- Vuol dire che l’estero si sta adattando a quel tipo di gioco, non è finito il catenaccio all’italiana, però hanno capito che è meglio prima non prenderle. Per certi aspetti potrebbe essere negativo per quanto riguarda la spettacolarità, però i nostri allenatori, da un punto di vista, forse sarà eccessivo, ma sono maestri nel mondo.

- Come vedi il ritorno all'utilizzo dei giovani di talento nelle squadre italiane, pratica che ultimamente si era un po' persa?

- Si era un po’ persa perché c’erano soldi, mentre adesso che c’è meno denaro, si dice “Ah riscopriamo i talenti italiani”. Ahimè e ahinoi, a mio giudizio non è una libera scelta, ma obbligata. Mi auguro che dall’estero arrivino soltanto i talentuosi.

- La Juventus, visto anche il sorteggio favorevole, può davvero puntare alla finale di Cardiff?

- Queste sono quei tipi di domande a cui cerco di rifuggire, perché non mi sento un veggente. Però, mentre in altri momenti, la risposta sarebbe stata 'Non la vedo facile', adesso dico: "E' assolutamente possibile".

- Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

- Io mi sto accingendo a cambiare la mia attività lavorativa, pur rimanendo in Rai. Ho cominciato non con lo sport, ma con la vicenda del caso Moro e tante altre notizie. Adesso inizierà per me una nuova avventura, come corrispondente della Rai da Gerusalemme per Israele, Libano e Giordania.