Il Tour de France propone la 17^ tappa La Mure-Serre Chevalier, il tappone per eccellenza di questa edizione, e Fabio Aru dovrà farsi trovare pronto, attento a difendersi da Froome, Bardet e Uran o, ancora meglio, pronto ad attaccare i tre rivali sul suo terreno preferito. Il percorso prevede 4 GPM e tre salite che hanno fatto la storia della più importante gara ciclistica al mondo: il Col de La Croix-de-Fer, 24 km al 5,2% di pendenza media; il Col du Tèlègraphe, 11,9 Km al 7,1%; e il mitico Col du Galibier, 17,7 km al 6,9%, che incoronò Marco Pantani nel 1998.

Corsi e ricorsi storici.

L'anno precedente al Tour vinto da Pantani, proprio il 19 luglio 1997 l'Italia applaudiva emozionata un campione ritrovato. Due anni prima, il 18 ottobre 1995, lo scalatore romagnolo venne investito da un fuoristrada durante la Milano-Torino e riportò la doppia frattura di tibia e perone. Si parlò anche di abbandono dell'attività agonistica, ma la determinazione del ragazzo di Cesenatico ebbe la meglio, e Marco tornò in bicicletta nel luglio del 1996 per riprendere con cautela, e preparare il Giro d'Italia dell'anno successivo. La sfortuna lo costrinse al ritiro dalla corsa italiana nel 1997, e il campione romagnolo dovette attendere il Tour per riassaporare le prime vere emozioni dopo due anni.

Da dove riprendere il discorso, se non dalla sua montagna preferita?

Il 19 luglio era in programma la 13^ tappa, la Saint Etienne-Alpe d'Huez di 203,5 km. In testa alla classifica, con un vantaggio di quasi 6 minuti su Richard Virenque e oltre 8 su Abraham Olano e Bjarne Riis, dominava uno scatenato Jan Ullrich. Quinto in classifica, a 9'11 dal tedesco, Marco Pantani si ritrovava in una posizione decisamente migliore rispetto a quanto preventivato dopo il lungo infortunio.

Marco conosceva benissimo l'Alpe d'Huez e adorava quella montagna, sicuramente ricambiato: nel 1994 - anche quell'anno era il 19 luglio - alla sua prima apparizione al Tour de France, proprio nella frazione con arrivo all'Alpe, con un numero d'alta scuola aveva staccato i migliori, anche se la vittoria sarebbe andata all'italiano Roberto Conti con una fuga da lontano.

E sullo stesso arrivo aveva trionfato l'anno successivo staccando, con un'ascesa meravigliosa, il grande Miguel Indurain e il danese Riis.

Dopo circa un chilometro, lo scalatore di Cesenatico iniziò un forcing pazzesco al quale, dopo qualche resistenza, dovettero cedere prima l'idolo di casa Virenque e poi la maglia gialla Ullrich, che sembrava inattaccabile ma non poteva tenere la velocità - nonostante il perfetto stato di forma - che solo "Il Pirata" riusciva ad esprimere sulle salite più difficili.

Due ali di folla accompagnarono il romagnolo fino all'arrivo. Durante la diretta, anche Gianni Bugno e Davide Cassani commentarono ammirati la prodezza dello scalatore italiano, che fece segnare il record della salita in 37'35".

Fu una tappa emozionante anche perché, come disse l'indimenticabile Adriano De Zan in diretta: "Oltre al gesto atletico, bisogna applaudire soprattutto il fatto umano: a livello morale, questo ragazzo ha avuto tanta, tanta sfortuna e oggi, finalmente, può alzare nuovamente le braccia al cielo in un gesto che è quasi un pugno. Di scalatori ne ho visti tanti - aggiunse - ma come lui soltanto Gaul". Queste parole confermano perché Pantani venga considerato il più grande scalatore di tutti i tempi. Dopo tanta sfortuna, una prodezza epica che lo proiettò, anche grazie alla seconda vittoria sul Joux-Plane, verso il meritato podio di Parigi.

Bellissimi ricordi che, speriamo, siano di buon auspicio per il nostro Fabio Aru: c'è il vincitore dell'anno precedente - ai tempi Ullrich, ora Chris Froome - e non manca nemmeno il francese di turno, Romain Bardet.

Attenzione anche a Rigoberto Uran, che potrebbe però diventare anche un buon alleato e, soprattutto, a Mikel Landa. Nonostante gli ordini di squadra, lo scalatore spagnolo sembra il più in forma.

Ma il nostro Aru può ripetere le gesta del fuoriclasse romagnolo proprio vent'anni dopo.

Marco Pantani è scomparso nel 2004, ma le sue imprese in salita sono diventate leggenda e restano indimenticabili, come le emozioni che ha suscitato negli amanti del Ciclismo e dello sport in generale. Per lui è sicuramente valida una frase di Russell Crowe nel film "Il Gladiatore": "Ciò che facciamo in vita, riecheggia nell'eternità".

Sono trascorsi vent'anni, ma è come se fosse ieri.