Quando cadono gli Dei lo fanno da molto in alto e rischiano seriamente di farsi male. Del resto, come dice un antico proverbio, più grandi sono e più rumore fanno cadendo. Si diceva che i Mondiali di atletica leggera 2017 non erano come gli altri, perché sarebbero stati gli ultimi a vedere in pista una leggenda vivente come Usain Bolt. Ma l'epilogo della sua straordinaria carriera, purtroppo, non è stato quello sperato dal diretto interessato e, in fin dei conti, da tutti gli appassionati di atletica. Sconfitto sui 100 metri da Justin Gatlin e Christian Coleman, re Usain si è dovuto arrendere anche nella staffetta 4x100, fermato da un problema muscolare nel momento in cui la sua corsa sembrava davvero ben lanciata.

Tra i fotogrammi che consegnano alla storia dello sport questi Mondiali ci sarà sicuramente il volto dolorante del campione giamaicano e la sua palpabile delusione, ma anche le lacrime di Mo Farah al termine della finale dei 5.000 metri. Sir Mohamed ha mollato lo scettro in quella che più di tutte è stata la sua specialità, dove tra Mondiali, Olimpiadi ed Europei era imbattuto dal 2010. Un'altra divinità tornata tra gli esseri umani.

Gli ultimi, drammatici 100 metri di Usain Bolt

La rivalità nello sprint tra USA e Giamaica è una cosa seria. I caraibici, dopo aver raccolto invero poco in questi Mondiali, hanno deciso di schierare tutti i grossi calibri nella finale della 4x100. Così, ecco addirittura Omar McLeod, oro sui 110 ostacoli ed unico sussulto giamaicano in quel di Londra e poi, ancora, Yohan Blake, uno che i 100 li ha corsi in 9"69 anche se il suo rendimento è sempre stato altalenante, oltre ai confermati Julian Forte ed Usain Bolt.

Tutto il meglio possibile per contrastare la favorita staffetta statunitense che aveva in Gatlin e Coleman le punte di diamante. Meno riflettori, ma tanta sostanza per la staffetta britannica: Chijindu Ujah, Adam Gemili, Daniel Talbot e Nethaneel Mitchell-Blake potevano introdursi nell'eterno duello tra statunitensi e giamaicani, come in effetti è stato.

La Giamaica è partita fortissimo, grazie ad un'incredibile frazione di McLeod che ha poi passato il testimone a Forte. Meno brillante la terza frazione di Blake e questo ha consentito il recupero di americani e britannici. Il passaggio a Bolt ha visto partire il 'fulmine' con agile falcata, la sua devastante progressione era nell'aria, ma i suoi muscoli d'acciaio stavolta lo hanno tradito.

Un dolore pungente al retrocoscia sinistro, Bolt ha iniziato a zoppicare e si è accasciato sulla pista: il pubblico londinese ha trattenuto il fiato tra la preoccupazione e l'estatico stupore per la corsa del portacolori di casa, Nethaneel Mitchell-Blake, che ha avuto la meglio su Christian Coleman regalando al Regno Unito un oro tanto inatteso quanto esaltante e meritato. Con il senno del poi, le condizioni fisiche del primatista del mondo dei 100 e 200 metri non sono apparse certamente al top. I consueti siparietti con cui si è sempre divertito ad esaltare il pubblico hanno nascosto a fatica una crescente difficoltà e l'infortunio finale, quando stava producendo il massimo sforzo, ha evidenziato un'efficienza fisica ben lontana dai tempi migliori.

Soltanto un anno fa aveva conquistato tre ori olimpici, dodici mesi dopo la caduta. Comprensibile, a questo punto, la sua decisione di rinunciare ai 200: era consapevole di non poter reggere tre gare Forse sarebbe stato il caso di uscire di scena con i titoli olimpici al collo? Con il senno del poi, appunto, è molto facile esprimere sentenze e giudizi. E se la delusione di Londra lo spingesse a cercare una rivincita e, pertanto, a rinunciare ai suoi propositi di ritiro? Le tante 'vedove' di Bolt sparse per il mondo ci sperano.

Farah nella 'gabbia' etiope

Il tripudio di 'Union Jack' per la vittoria della staffetta britannica ha parzialmente compensato la grande delusione di Londra per i 5.000 metri.

Anche qui un addio alla pista, quello del plurimedagliato Mo Farah, ed anche qui un risultato inatteso. Il re del mezzofondo aveva già vinto il titolo mondiale sui 10.000 e la doppietta era chiaramente nelle sue corde, così come era accaduto lo scorso anno ai Giochi di Rio ed in altre prestigiose occasioni. Per lui non possiamo parlare di caduta rovinosa, perché si congeda comunque con un titolo mondiale. Mo Farah ha fatto una gara diligente, marcando a vista gli avversari più pericolosi. Nell'ultimo giro però è rimasto vittima di un perfetto gioco di squadra da parte degli atleti etiopi, in due gli hanno impedito di scattare, lanciando poi la volata a Muktar Edris che è diventato il nuovo campione mondiale della specialità.

'Soltanto' argento per Farah, mentre il bronzo di Paul Chelimo ha arricchito ulteriormente il pingue bottino statunitense in questi Mondiali. Molto toccante l'arrivo, dove l'esultanza del vincitore ha fatto da contraltare al crollo di Farah, riverso sulla pista, in lacrime, con la testa tra le mani. A consolarlo a fine gara la moglie ed i figli che, dopo la premiazione, sono saliti con lui sul podio. Una curiosità proprio sulla composizione del podio: Edris, Farah e Chelimo sono figli d'Africa, ma corrono sotto le bandiere di tre Paesi che rappresentano tre distinti continenti. Il fascino senza confini dell'atletica leggera regala anche queste fotografie, un modo come un altro per dimostrare che il destino dell'uomo è sempre stato quello di confondersi per migliorarsi.

Nuovi eroi, conferme e resurrezioni

Possiamo ben dire, in dirittura d'arrivo della 16^ edizione dei Campionati del mondo di atletica leggera, di aver davvero visto di tutto. La sorpresa è stata l'elemento caratterizzante di questa kermesse, ad iniziare dal successo di Justin Gatlin sui 100 metri, del turco Ramil Guliyev sui 200, del francese Pierr-Ambroise Bosse sugli 800 e del norvegese Karster Warholm sui 400 ostacoli, oltre alla citata staffetta britannica ed all'etiope Edris sui 5.000 metri. Wayde Van Niekerk ha svolto invece il suo 'compitino', vincendo come da pronostico i 400 ed arrivando secondo sui 200 metri, senza però esaltare più di tanto. In campo femminile, al contrario, c'è stata una dominatrice assoluta della velocità, la statunitense Tori Bowie che ha vinto due ori sui 100 metri (dove è clamorosamente crollata la campionessa olimpica Elaine Thompson) e sulla 4x100.

Un vero peccato che, causa l'infortunio nello sprint finale dei 100 metri, non abbia potuto disputare anche i 200 metri. Ma non sono mancate le nuove eroine, come Phyllis Francis oro sui 400 metri, Kori Carter vincitrice dei 400 ostacoli ed Emma Coburn che ha primeggiato nei 300 siepi. Tra le conferme, sono da sottolineare i titoli dell'olandese Daphne Schippers nei 200 metri, dell'etiope Almaz Ayana sui 10.000, della greca Aikaterini Stefanidi nel salto con l'asta e della russa Maria Lasitskene nel salto in alto. L'atletica al femminile festeggia inoltre tre autentiche 'resurrezioni': la vittoria dell'australiana Sally Pearson sui 100 ostacoli, cinque anni dopo l'oro olimpico ottenuto in questo stesso stadio; l'oro nel salto in lungo della statunitense Brittney Reese quattro anni dopo l'ultimo titolo mondiale conquistato a Mosca e, soprattutto, il successo di Barbora Spotakova nel giavellotto femminile. La ceca è tornata ai vertici della specialità cinque anni dopo l'oro olimpico di Londra, conquistando il secondo titolo iridato a dieci anni di distanza dal primo.