Esordio NBA, derby di LA, tripla in faccia. You can't see me. Il box score, a fine serata, recita: 3 punti con 1/6 al tiro, 9 rimbalzi, 4 assist, un recupero e 2 palle perse in 29 minuti giocati. Tanto trash talking ai suoi danni, tanto odio sportivo generato dalle dichiarazione visionarie di suo padre. Tutti vorrebbero schiacciargli in testa. La scelta numero 2 al draft sembra travolta da qualcosa più grande di lui.

Welcome to the NBA baby!

Succede, però, che Lonzo ha talento. Molto. Una forza mentale e una maturità impressionante per i suoi 19 anni.

L'occasione del riscatto arriva subito a Phoenix, contro i Suns, un discreto telepass difensivo di questo inizio di stagione regolare. Il ragazzo si carica sulle spalle tutta la squadra gialloviola, chiudendo con una prestazione fantastica, nonostante i continui problemi al tiro (ancora abbondantemente sotto il 50%).

29 punti, 11 rimbalzi, 9 assist. Ad un passo dalla storia: chiudendo in tripla doppia sarebbe diventato il giocatore più giovane nella storia della lega a mettere a referto una prestazione simile, record nelle mani di un certo LeBron James. Trentello sfiorato, tripla doppia mancata di pochissimo, prima W in RS.

Lonzo ha ricalcato, nei modi, la partenza avuta in Summer League. Esordio da dimenticare, continuando in crescita costante, giocando in maniera efficiente.

D'altronde la direzione presa negli ultimi anni è quella di sviluppare play poliedrici, all-around.

I titoloni "Lonzo è un bust" sono già lontani. Il problema è uno, di certo non il #2 di LA. La volontà di appiccicare immediatamente un'etichetta, la frenesia di catalogare una matricola. L'hype è cresciuto a dismisura, complici le dichiarazione al vetriolo del padre.

Non è colpa di Lonzo, che al contrario ha sempre e solo pensato al basket giocato. La colpa è di che vede il prodotto di UCLA con la statuetta del ROY, di chi vuole già conoscere il suo impatto, di chi desidera vederlo cadere. Avere qualcosa o qualcuno da dare in pasto, con una precisa identità. Un giochino molto pericoloso, per lui come per i vari Fultz, Tatum, Josh Jackson e compagnia.

Il caso di Lonzo è unico, perché mai un padre si era reso protagonista più del figlio futuro giocatore NBA. Il fascino di imprimere una traccia in uno dei più grandi mercati del mondo - Los Angeles - ha fatto semplicemente il resto. Godiamoci il ragazzo per ciò che sa regalare sul parquet, il resto lasciamolo ai giornali di gossip.