È passata ormai una stagione NBA piena da quando Kevin Durant ha preso la decisione di dire addio all'Oklahoma per abbracciare la baia di San Francisco e i Golden State Warriors. Nella stagione scorsa, la forza distruttrice di un Russell Westbrook deluso ed amareggiato ha trascinato compagni e tifosi in un turbinio di alti e bassi, triple-doppie e tanta frustrazione. Westbrook è l'MVP uscente, ma ciononostante fino alla scorsa stagione non aveva un compagno ideale per le sue scorribande quale era Durant.

Per vederlo sorridere, il General Manager Sam Presti gliene ha presi addirittura due: prima Paul George e poi Carmelo Anthony sono approdati ad Oklahoma City per un serio e concreto attacco a quel titolo al quale i Warriors, a detta di molti, sono già nuovamente destinati.

Kevin Durant si appresta a trovare perciò una squadra profondamente mutata rispetto a quando faceva coppia fissa con Westbrook nel cuore dei tifosi.

Non più 'one man show', ma roster ancora da affinare

I principali cambiamenti degli Oklahoma City Thunder del dopo-Durant tra la scorsa stagione NBA e quella attuale, sono evidenti alla sola lettura dei nomi degli starters. Westbrook, Paul George e Melo sono i nuovi “big three” della franchigia; la loro compresenza permette al precedentemente isolato numero 0 di spaziare tra vari schemi d’attacco, che non prevedano necessariamente una sua finalizzazione al ferro. Steven Adams si conferma invece un centro di grandissima affidabilità e forza fisica, dalle potenzialità non ancora del tutto esplorate.

Anthony, 20 punti a partita di media, sta entrando nei meccanismi di un gioco di squadra e sacrificio a cui non sempre in carriera è stato avvezzo, cominciando sempre più spesso ad occupare la posizione di scorer micidiale ma anche capace di altruismo. George, invece, è un giocatore diverso ma non per questo meno congeniale alla mentalità di coach Billy Donovan.

Più simile a Kevin Durant nello stile di gioco, se vogliamo, l’ex Indiana Pacers ama ricevere gli scarichi dei compagni per le triple piazzate, ma anche puntare l’uomo e giocare un uno-contro-uno dal ritmo ipnotico grazie ad un ball-handling davvero personale.

Quel che manca ancora alla panchina dei Thunder è una maggiore solidità nelle rotazioni, quando i big three sono necessariamente a riposo e le seconde linee devono supplire.

Nonostante i giovani Jerami Grant ed Alex Abrines in grande crescita ed un esperto Raymond Felton al timone quando Westbrook siede in panchina, OKC dimostra di non avere quella tipica “elettricità” che contraddistingue gli attacchi del quintetto titolare. Ma è un aspetto su cui Donovan, esperto nella crescita dei prospetti, vuole lavorare a fondo.

Kevin Durant serafico, il passato non lo spaventa

Nonostante l’assetto della sua vecchia squadra sia profondamente cambiato e la ferita nel cuore dei suoi tifosi sia ancora aperta, il grande ex non è intimorito dalle pressioni che può incontrare sul campo e fuori. Alla vigilia della sfida tra Oklahoma City Thunder e Golden State Warriors di stanotte, l’MVP delle Finals 2017 si è detto abituato a “spegnere” il pubblico nelle partite importanti, riuscendo così ad isolarsi dalla tensione che il pubblico ovviamente punta a creare.

La superstar di Washington sta viaggiando alla media di 24.9 punti e 7 rimbalzi a partita, numeri non esagerati ad una prima lettura, ma decisamente oro colato se considerato il contesto unico dei Golden State Warriors, con una palla davvero bollente che passa per le mani di Stephen Curry, Klay Thompson e lo stesso Durant, con tantissimi tiri presi (e segnati) da ognuno dei tre.

Per Durant, d’altronde, non sarebbe la prima esperienza da ex di fronte al pubblico di Oklahoma City. Lo scorso anno, KD ha messo a segno un tiro da 3 punti letteralmente in faccia a Russell Westbrook, mettendo a tacere la bolgia della Chesapeake Energy Arena. Questa volta Russ è ancor più convinto dei propri mezzi, ma lo stesso vale certamente per Durant. In vista un nuovo capitolo di questa storia d’amore senza lieto fine.