La Tari sta diventando un vero e proprio caso di scuola su ciò che non dovrebbe essere una tassa, tariffa o tributo che dir si voglia. Oltre a suscitare le ire dei consumatori - utenti, con diverse associazioni a tutela del consumatore intervenute direttamente nella diatriba per fermare i possibili aumenti da parte dei Comuni italiani, il Mef sta predisponendo, addirittura, una Circolare esplicativa che chiarisca definitivamente come va calcolata e applicata la Tari. Anche perché, nel frattempo, i Comuni non si stanno comportando in maniera uniforme.

La soluzione, per di più, sarebbe già pronta e a disposizione del Governo. Inoltre, la Tari stessa dovrebbe avere, ormai, i giorni contati, in quanto verrebbe sostituita da una nuova imposta più "puntuale" denominata Tarip e la cui sperimentazione è tuttora in corso in circa 100 Comuni. Anche se, anche su questa nuova versione ci sarebbero dei rilievi da fare. Ma andiamo con ordine e vediamo, innanzitutto, quali sono le implicazioni per le imprese.

La tassa sui rifiuti delle imprese

Il problema nasce dal fatto che le imprese pagano al Comune di competenza un importo aggiuntivo per lo smaltimento di quelli che vengono definiti rifiuti speciali. Oltre, ovviamente, alla Tari vera e propria. In questa rientrano, infatti, solo quei rifiuti aziendali che il Comune provvede ad assimilare ai rifiuti urbani.

La domanda che sorge è, quindi, fin dove ci si può spingere nelle "assimilazioni". Infatti, da una parte gli imprenditori vorrebbero pagare una sola tariffa mentre gli Enti Locali devono rispettare i limiti imposti dalla normativa nazionale ed europea.

D'altra parte la soluzione sarebbe già pronta e codificata. Infatti sul tavolo del ministro dell'Ambiente, Gianluca Galletti, è pronto un decreto ad hoc per risolvere definitivamente il problema.

Infatti, il provvedimento blocca le assimilazioni ai rifiuti urbani di quelle scorie prodotte all'interno delle aziende e anche la Tari sui magazzini e le altre attività commerciali di vario genere medio - grandi. Vengono ricompresi a tassazione solo i rifiuti prodotti dalle mense aziendali, uffici e locali di servizio, ma in base a parametri estremamente rigidi.

Il problema è che il decreto non è stato ancora firmato. E difficilmente lo sarà in questo periodo pre - elettorale, in quanto la Tari serve a coprire i costi di servizio dei Comuni e nessuno vuole inimicarsi gli elettori o chi può veicolare migliaia di voti.

I Comuni vanno in ordine sparso

Intanto i Comuni si comportano differentemente su questo tema. Infatti, se ad esempio Milano ha aperto ai rimborsi a cittadini e imprese, Ancona continua imperterrita ad applicare il proprio regolamento forte del fatto che questo e la corrispondente delibera non hanno subito alcun rilievo da parte del Ministero delle Finanze. Anche in tema di sconti ci si muove a macchia di leopardo. Infatti, alcuni comuni applicano una riduzione forfettaria sulla Tari delle case vuote per parte dell'anno, di solito pari al 20%.

Mentre, altri Comuni calcolano il consumo di un numero predeterminato di occupanti.

Intanto è in arrivo la Tarip

Per ovviare ai molti problemi sollevati, già da diverso tempo è in fase di sperimentazione in almeno 100 Comuni italiani una Tari "puntuale", ovvero la Tarip. Questa nuova versione dovrebbe far pagare un importo calcolato in base alla quantità effettiva di rifiuti prodotti. E a breve dovrebbe essere allargata a tutti gli 8 mila Comuni italiani. Se non che anche questa presenta due problemi non da poco. Innanzitutto, pesa effettivamente solo i rifiuti che non entrano nella raccolta differenziata. E, in secondo luogo, trattandosi di una tariffa, la Corte di Cassazione nella sentenza 17713/2017 ha statuito che ad essa non va applicata l'Iva.