Le applicazioni attuali sono ormai diventate una realtà per tutti gli utenti appassionati di tecnologia, ma anche per i meno esperti. Uno studio recente ha però dimostrato che gli algoritmi utilizzati per la creazione di questi software definiscono alcune indicizzazioni che possono essere considerate come discriminatorie dal punto di vista del genere e della razza. Si tratta di pregiudizi che risultano essere automatizzati a causa proprio dell'associazione di determinate e precise formule matematiche che permettono di visualizzare informazioni a partire da termini comuni che diventano parole chiave.

La ricerca anglo-americana

Secondo uno studio proclamato durante un recente congresso organizzato presso il Mit di Boston (Massachusetts Institute of Technology) gli algoritmi delle maggiori applicazioni sono formati sulla base di un pregiudizio di genere. Per esempio i termini quali "femmina" e "donna" vengono normalmente associati ad occupazioni umanistiche e domestiche, svalutando in tal modo il ruolo del "gentil sesso" rispetto ad una gamma di occupazioni più ampie. In questo modo si attua una discriminazione di genere che va a formare la convinzione comune degli utenti tecnologici.

Una nuova prospettiva

Per far fronte ad una dilagante discriminazione delle applicazioni, è intervenuta l'Unione americana per le libertà civili, che ha deciso di creare la Al Now iniziative, per debellare definitivamente i cosiddetti "pregiudizi on line".

Secondo quanto riportato dal fondatore della ricerca attuata dall'Università di Bath, la discriminazione può essere presente in qualunque tipo di servizio o prodotto. Questo a causa dell'automatismo degli algoritmi utilizzati nelle stesse applicazioni. Si tratta infatti di particolari procedimenti che risolvono un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari.

Attualmente però, l'Università di Bath sta cercando di porre fine a questo fenomeno dilagante di pregiudizio diffuso tecnologicamente.

Secondo uno dei fondatori, Kit Crawford, la comprensione del fenomeno è ancora lontana da raggiungere definitivamente. Ma la speranza è ancora forte. Grazie ai ricercatori che investigano sul fenomeno, più algoritmi discriminatori si trovano e maggiormente si può arrivare ad una soluzione comune per evitare definizioni razziste o discriminatorie nelle applicazioni più usate al mondo.