Alcuni giorni fa, il CEO di Facebook, Marck Zuckerberg ha dichiarato ufficialmente guerra alle notizie false, dette anche volgarmente "bufale" o, in versione un po più British, "fake news". Poco dopo, un prolisso post è stato pubblicato online dallo stesso Zuckerberg, indicando le prime azioni che saranno messe in campo.

Il problema principale sono le cartucce utilizzate per combattere il problema, che dal punto di vista di chi scrive, rischiano di essere assolutamente fradicie.

Le verifiche di affidabilità delle fonti: inefficienti e a basso costo

L'idea principale di Zuckerberg sarebbe quella di far decidere ai propri utenti quali siano le fonti di notizie più affidabili. Idealmente, la sua proposta è molto accattivante e di impatto.

Il popolo di lettori su Facebook sarà chiamato a testare la qualità di una testata.

Verrebbe da dire a proposito di fakenews: "Troppo bella questa notizia per essere vera".

Ovviamente, molte sono le domande a tal proposito:

  • Può un lettore verificare davvero la fondatezza di una fonte?
  • Quali mezzi ha a disposizione un lettore per distinguere una bufala da una buona notizia?
  • Visti i milioni di iscritti di molte pagine, siamo sicuri che gli utenti di Facebook odino davvero le bufale?
  • Perché, invece, non investire su una catena di revisione interna alla Facebbok Inc.?
  • Facebook ha davvero a cuore la qualità dei suoi contenuti?

Siamo proprio sicuri, dunque, che un lettore sia sempre in grado di testare la qualità, e ancora di più la "fondatezza", di una testata giornalistica?

Dobbiamo essere sinceri, moltissimi degli utenti dei social networks sono bufala-dipendenti, amano il sensazionalismo, e non hanno la capacità di identificare quando questa sia disinformazione.

Spesso le fakenews vengono condivise dai lettori stessi, i quali credono ciecamente in ciò che hanno letto. Un esempio lampante, sono state le bufale di matrice russa, condivise sui social networks più famosi durante le ultime elezioni americane.

Tali fakenews, secondo una parte della politica americana, sono ree di aver veicolato i voti degli elettori USA verso Donald Trump.

Ma vuole Facebook diventare un social network affidabile?

Il punto cruciale della questione è solo uno: Facebook deve decidere cosa vuole diventare da grande.

Vuole Facebook rimanere un social network dove tutti possono condividere di tutto senza verifica delle fonti, oppure vuole fare un upgrade e trasformarsi in un luogo di condivisione dove ogni notizia deve sempre passare attraverso una catena di revisione prima di essere resa pubblica?

Per le psudo-testate giornalistiche, produttrici instancabili di bufale, Facebook può essere considerato come un enorme megafono, o come una bacheca virtuale dove tutti mettono il loro post-it con un pubblico potenziale di miliardi di lettori.

Quindi ci chiediamo: non sarebbe il caso di investire ingenti fondi per assumere intere squadre di revisori di notizie in seno alla Facebook Inc.? Non sarebbe il caso di cambiare la politica di condivisione e revisione (quasi assente) di notizie sul social network di Zuckerberg?

Solo le notizie fondate e veritiere dovrebbero apparire sul flow di Facebook.

In fin dei conti, Facebook è l'unico responsabile delle notizie riportate sulla sua piattaforma.

I proclami da soli non bastano, servono investimenti

Solo la Zuckerberg e Co. dovrebbe prendersi carico del fardello di verifica della qualità e fondatezza dei contenuti che circolano, senza invece delegare (a costo zero) questo lavoro di verifica ai suoi utenti, che non possono (o non sono in grado) di farlo in modo opportuno, non avendo sempre a disposizione tutti i dati, i mezzi e le conoscenze per farlo.

Più che a proclami, Mark Zuckerberg dovrà finalmente decidersi a migliorare i contenuti che circolano all'interno della sua creatura, mediante ingenti investimenti sulla catena di revisione, attualmente deficitaria, o del tutto assente. Così come fanno molte testate giornalistiche serie o riviste internazionali.

A lungo termine, non saranno le soluzioni low cost e i proclami a risolvere davvero il problema.