L'ospedale Mauriziano di Torino è stato il primo a testare con successo un prototipo per sopperire alla disfunzione cardiaca in modo alternativo al tradizionale pacemaker. Si tratta di un dispositivo che ha funzionato in modo efficace su un paziente di 57 anni, permettendo di migliorare la contrattualità del cuore del paziente malato. Grazie a questa novità forse in futuro si potrà dire addio definitivamente al fastidioso pacemaker, che viene generalmente impiantato per normalizzare il ritmo cardiaco di un paziente affetto da disturbi di cuore o particolari malattie cardiache.

Un nuovo dispositivo per il cuore

Il dispositivo, che può essere utilizzato in maniera alternativa, agisce direttamente sui geni e le proteine, permettendo al cuore di funzionare normalmente. Infatti lo scompenso cardiaco causa generalmente una riduzione dell'attività dei geni e delle proteine che favoriscono la produzione del calcio. Questo dispositivo permette invece di favorire la concentrazione intracellulare per riattivare i geni e le proteine. Il suo funzionamento si basa infatti sulla cosiddetta stimolazione Ccm (cardiac contractility modulation) che permette di stimolare il muscolo cardiaco malfunzionante con alcuni impulsi elettrici ad alto voltaggio.

L'intervento

In concreto il dispositivo testato all'ospedale torinese è dotato di batteria, e può essere posizionato agevolmente in una tasca sottocutanea.

In questo modo due o tre elettrocateteri permettono di condurre l'impulso elettrico fino al veicolo esterno per far avvenire la stimolazione cardiaca. L'intervento per impiantare tale dispositivo può avere una durata dai 30 ai 50 minuti. Il primo paziente su cui è stato testato tale dispositivo è un uomo di 57 anni che il giorno dopo l'intervento è stato in grado di alzarsi.

Lo stimolatore può essere ricaricato elettricamente dall'esterno ogni settimana, attraverso una placca che viene posizionata sulla pelle. Secondo quanto hanno spiegato i cardiologi, questo dispositivo può essere utilizzato per tutti quei pazienti che non possono essere inclusi nelle liste di trapianto, dato che non rispondono alle terapie disponibili in ospedale.

Si tratta di uno strumento che presenta ampie prospettive per tutti i pazienti che soffrono di scompensi cardiaci, dato che in Italia se ne contano circa 600 mila, stimando che la frequenza raddoppi ogni dieci anni.