In casa Barcellona i nervi sono tesissimi. Come se non bastassero le accuse rivolte al presidente blaugrana Rosell sull'acquisto di Neymar e l'inchiesta aperta dall'Unione Europea sugli aiuti di Stato concessi ad alcuni club spagnoli, ora infuria la polemica tra Leo Messi e il numero due della società catalana Javier Faus, sorta al riguardo del rinnovo del contratto del giocatore argentino.

Infatti, nei giorni scorsi il vicepresidente del Barça aveva risposto così ad un giornalista che gli aveva chiesto notizie su un eventuale adeguamento del contratto della Pulce: ''Non è possibile migliorare il suo contratto ogni sei mesi''.

Parole che hanno scatenato le ire di Messi, attualmente fermo per infortunio e indispettito per le presunte accuse di riciclaggio nei confronti di suo padre, che non ha esitato ad attaccare Faus e la giunta direttiva del club.

Il fantasista argentino ha rilasciato le seguenti dichiarazioni all'emittente RAC1: ''Faus non capisce nulla di calcio, vuole gestire il Barcellona come un'azienda ma non funziona così. Il Barça è il miglior club al mondo e merita di essere rappresentato dai migliori dirigenti. Comunque, gli ricordo che nè il sottoscritto nè alcun membro del mio entourage ha chiesto l'adeguamento del contratto, e lui questo lo sa benissimo''.

Messi ha poi difeso a spada tratta il padre, il cui coinvolgimento in un caso di narcotraffico è stato però smentito dagli inquirenti: ''Sono molto legato a mio padre, resterà presidente della mia fondazione.

Mi dispiace molto per tutte le cose che sono state scritte su di lui e sulle persone che gli sono più vicine''.

La linea difensiva del giocatore argentino risulta quantomeno discutibile. Se già si potrebbero avanzare riserve sul fatto che il Barcellona sia il ''miglior club al mondo'', è indubbio il fatto che le società calcistiche in periodi come quello attuale siano più spinte ad una politica di contenimento dei costi.

Non sempre l'equazione ''grandi spese-grandi vittorie'' si rivela esatta; i casi della prima Inter di Moratti (che dilapidò quasi 500 milioni di euro dal 1995 al 2002 ottenendo solo una Coppa Uefa) e del Real Madrid (che, nonostante ogni anno spenda cifre esorbitanti, non conquista la Champions da oltre dieci anni) sono soltanto i più eclatanti.

Difatti, come non ricordare le parabole discendenti del Napoli di Ferlaino e del Parma di Tanzi, che dopo anni di investimenti pazzi si sono ritrovati in situazioni fallimentari oppure oberati dai debiti e costretti a cedere tutti i campioni? La vera soluzione forse non sta nel fair play finanziario, bensì in una maggior attenzione ai bilanci ed al rapporto tra costi e ricavi, perchè non sempre è possibile fare il passo più lungo della gamba. Che piaccia o no e Messi.