La Rivoluzione Francese è un evento che ha segnato la storia dell’umanità. D’accordo, anche quella dei poveri studenti che non amano la storia e si sono dovuti districare tra giacobini, ugonotti e teste che cadevano, ma gli ideali trasmessi da quel 1789 hanno lasciato un segno ben oltre i confini nazionali. Liberté, egalité e fraternité: non è chiaro quale dei tre storici valori sia più caro in casa Juventus, ma di sicuro a Torino si sono ormai abituati a vivere emozioni molto speciali il 14 luglio.

Se Bonucci fa il Conte

La partenza di Leonardo Bonucci verso il Milan è destinata a segnare la storia del mercato italiano oltre che delle due squadre protagoniste dell’operazione dell’anno, ma soprattutto palesa molti punti in comune con il clamoroso addio di Antonio Conte alla Signora.

A livello di date, ma non solo. Era il 15 luglio 2014, il Mondiale brasiliano era appena finito e gli sportivi si preparavano ad un lento avvicinamento al campionato quando, all’ora di cena, dopo un giorno di riflessione, rimbalzò la notizia più clamorosa: Mister Tre scudetti si è dimesso lasciando la squadra campione d’Italia senza allenatore dalla sera alla mattina. In realtà non fu così, perché lo scranno bianconero fu subito occupato da Max Allegri, con i risultati che sappiamo, ma ciò non toglie che lo smarrimento dei tifosi fosse stato comunque altissimo. Conte è stato un simbolo della Juve da giocatore e allenatore tanto quanto Bonucci lo è stato della rinascita del club dalle ceneri dei due settimi posti.

Il secondo di essi Leo lo ha vissuto, essendo arrivato alla Juve all’inizio di quella stagione. Tutti si ricordano come andò a finire: annata di squadra disastrosa e tifosi che avevano nel mirino proprio Leonardo, accusato di non essere da Juve. La svolta successiva e impetuosa ha fatto con gli anni del centrale viterbese uno dei simboli dell’era dei record oltre che un cardine della Nazionale.

Il punto di rottura

Inevitabile farsi alcune domande. Se sia stata la Juve a fare grande Leonardo, o viceversa, e se a Torino sono davvero così pazzi per far partire due simboli senza colpo ferire, arrendendosi al famoso motto “qui non facciamo prigionieri, chi è scontento può andare via”. La realtà è che come Conte non avrebbe potuto più dare nulla a quella Juve che riteneva svuotata, ma che aveva solo bisogno di cambiare manico e metodi di allenamento e gestione, ugualmente Bonucci non sarebbe più stato il Leonardo dei tempi migliori, dopo il caso di Oporto e quello di Cardiff, quest’ultimo figlio della volontà del giocatore di lasciare Torino al più presto.

Il rapporto con il tecnico, facciata a parte, non è stato più recuperato, al pari di quello con i compagni, pure quelli della vecchia guardia, compromessosi lentamente e crollato proprio nella notte della finale Champions. Non a caso il tutto si è concretizzato nel giorno in cui il numero 19 sarebbe dovuto arrivare in ritiro e rimettere piede in quello spogliatoio.

Imperdonabile Leo?

Il Calcio non è più quello dei tempi del vincolo, oggi il parere dei calciatori fa la differenza, ma ciò non toglie che per qualsiasi amante del calcio vedere i tifosi del Milan osannare un giocatore che avevano sempre avversato e vedere lo stesso giocatore quasi supplicare il club rossonero di metterlo sotto contratto sia un pugno nello stomaco e uno schiaffo al vecchio concetto dei giocatori bandiera e dell’attaccamento alla maglia.

Se Leo segnerà alla Juve non esulterà, certo, ma al popolo bianconero questo non importerà. A patto che lo stesso popolo bianconero non cominci a sputare sentenze e a chiedere dimissioni di massa come successo proprio nell’immediato post-Conte.

Bonucci leader del cantiere Milan

Più importante sapere è chi ha fatto l’affare. Sul piano economico non ci sono dubbi: il colpaccio è bianconero, perché mettere a bilancio 40 milioni per un difensore di 30 anni che ha già vinto parecchio, e con tanto di plusvalenza, è un colpo da maestro, così come non aver inserito nell’operazione De Sciglio, esterno sottostimato che diventerà della Juve a parte. Sul piano tecnico il Milan fa un colpo forse accessorio, nel senso che non era previsto nel budget iniziale, e che costringerà Montella a rivedere l’assetto tattico.

Si va verso la difesa a 3 e verso il sogno di imitare la prima Juve di Conte, con Biglia al posto di Pirlo e, perché no, Kalinic e André Silva al posto di Matri e Vucinic, protagonisti di un attacco non irresistibile del primo scudetto del ciclo d’oro. La storia non ricorda di difensori così decisivi, mentre la stessa storia insegna che la Juventus ha sempre saputo rialzarsi da cessioni che sembravano disastrose. L’era dei trionfi potrà anche avere una fine, ma se così sarà, se potete, non date la colpa all’affare LeoMilan.