Carmen Polce era una ragazza napoletana di 31 anni. Il 18 giugno del 2005 la famiglia perse ogni contatto con la figlia. Quello stesso giorno il fidanzato Michele Campanile la uccise con un corpo contundente inferto alla testa e poi ne occultò il corpo. Da due anni i ragazzi avevano occupato un appartamento nel casertano. All'origine della lite c'era il problema di tossicodipendenza di entrambi. Michele Campanile fu condannato a 19 anni di carcere per omicidio e occultamento di cadavere. Furono ritrovati macchie di sangue e capelli della vittima sia nell'appartamento dove si consumò il delitto, sia all'interno dell'automobile del convivente.

Il cadavere di Carmen Polce fu caricato dall'uomo nella sua auto e abbandonato in un luogo ancora oggi estraneo agli inquirenti. Il corpo di Carmen non è stato mai ritrovato e Michele Campanile ha sempre professato la sua innocenza. La famiglia Polce alla fine è riuscita ad avere giustizia facendo condannare Michele Campanile, che ha già trascorso in carcere dieci anni. L'errore della famiglia Polce è di essersi costituita parte civile nel processo contro Michele Campanile e per questo pochi giorni fa l'Agenzia delle Entrate ha addebitato a Rosa Polce, la madre della vittima, la somma di 7.517,50 euro per sanare le spese processuali che l'ex compagno di Carmen non può pagare in quanto nullatenente e senza alcuna fonte di reddito.

Sulla cartella esattoriale si legge: "Sono solidalmente obbligati al pagamento delle imposte tutte le parti in causa".

Dopo il danno anche la beffa: infatti se il pagamento non viene saldato, saranno avanzate le azioni esecutive per il recupero del credito. Gli avvocati della famiglia Polce, non hanno nessuna intenzione di arrendersi e la loro battaglia non si ferma qui.

E' inaccettabile che lo Stato sia con i suoi cittadini anti-democratico, è giunto il momento di riportare giustizia e ordine nel sistema fiscale italiano. Rosa Polce è disperata, sua figlia, è stata uccisa brutalmente e in giovane età. Ogni anno trascorso senza la sua presenza è un calvario. Nemmeno l'appagamento di portare un fiore sulla sua tomba.