All'udienza per il riesame del Tribunale di Brescia, Massimo Giuseppe Bossetti continua a proclamare la propria innocenza e lo fa in maniera sicura e spavalda: 'Sono un padre di famiglia, non ho ucciso nessuno e non ho mai visto Yara Gambirasio'. Queste sono state le parole del muratore di Mapello, in carcere dal 16 giugno scorso con l'infamante accusa di aver ucciso la ginnasta tredicenne la sera del 26 novembre del 2010.

'Non capisco tutto questo accanimento contro di me da parte della Procura' prosegue il Bossetti, rivolgendosi al pubblico ministero e con tanto di richiamo da parte dei giudici che lo invitano, invece, a parlare con loro, anzichè con l'accusa. Bossetti afferma di non conoscere Yara, ma dalle intercettazioni contenute nel dossier redatto dagli inquirenti risulta che, invece, il carpentiere di Mapello conosceva la povera ragazza, visto che anche la moglie, durante un colloquio in carcere, la menziona.

Allora per quale motivo Bossetti continua a rimanere su questa posizione?

Yara Gambirasio, la difesa di Bossetti contesta tutte le prove, dal DNA alle 'ragazzine vergini rosse'

La strategia della difesa è quella di contestare le prove che gli inquirenti hanno raccolto contro il principale indiziato per il delitto di Yara, a cominciare dai risultati degli accertamenti dei Ris che hanno evidenziato il ritrovamento di fili appartenenti al tessuto dei sedili del furgone del Bossetti sui leggings della tredicenne. La difesa sostiene che quei tessuti non sono 'unici' ma che vengono utilizzati anche su altri veicoli.

Oltre a questo elemento, l'avvocato Claudio Salvagni si appella alle incongruenze relative al DNA e alle differenze tra quello nucleare e mitocondriale; inoltre, per quanto riguarda il discorso relativo alla perizia informatica effettuata sul computer del muratore, il fatto che si siano rilevate delle ricerche con frasi tipo 'ragazzine rosse tredicenni vergini', questo potrebbe essere frutto di un automatismo generato senza alcuna volontà da parte del Bossetti.

Quello tra il muratore di Mapello e la Procura di Brescia, dunque, si preannuncia come un vero e proprio braccio di ferro, una guerra psicologica che appare lunga e tortuosa, dove la parola 'confessione' sembra essere l'ultima delle ipotesi possibili.