Troppo difficile sopportare i continui maltrattamenti dei suoi colleghi di lavoro. Così Andrea Natalidecide di stringersi una corda al collo e lasciarsi cadere.Andrea aveva 26 anni e a quell'età non si può morire, ma quasi certamente non si sarebbe tolto la vita, se dietro a quel gesto non ci fosse una storia lunga di violenze. Troppo complicato sopportare le "attenzioni"che da tempo i suoi colleghi di lavoro gli rivolgevano, fino ad arrivare a tormentarlo anche su Facebook, attraversouna pagina creata appositamente per deriderlo.

Per lui non c'era più pace, gli atti di bullismo diventavano sempre più pesanti, fino all'episodio in cui è stato gettato come un rifiuto dentro un cassonetto dell'immondizia.

Andrea ha lottato, ma non è riuscito a sconfiggere il bullismo

Ma Andrea Natali non era una vittima silenziosa. Grazie al consiglio della psicologa che lo seguiva, aveva denunciato alla Polizia di Vercelli, luogo dove abitava, i soprusi che continuava a subire sul social network e sul luogo di lavoro. Su un ex collega la Procura apre un'indagine, ma non parte alcun processo, mentre la pagina che i bulli avevano creato per deriderlo è stata chiusa. Questo, però, non ha posto fine al malessere che da tempo tormentava il povero ragazzo.

La vittimacomincia ad entrare nel tunnel della depressione fino a smettere di lavorare, uscire di casa e di mangiare. Dalìnon è più uscito, fino a quel gesto estremo compiuto il 5 settembre nella camera da letto della casa in cui viveva coi suoi genitori.

Sua madre e suo padre chiedono giustizia: "Sappiamo che nessuno potrà restituirci nostro figlio, ma vogliamo capire cosa è veramente accaduto". La sua famiglia e i suoi conoscenti lo descrivono come un ragazzo tranquillo, introverso e appassionato di motori. Proprio la sua passione lo aveva condotto a lavorare in un'officina a Borgo d'Ale.

Ed è proprio il lavoro che amava che si è trasformato in un inferno: prima scherzi e poi torture psicologiche cominciate il 22 ottobre del 2013, giorno in cui Andrea non uscirà più di casa.

Il titolare della carrozzeria dichiara che non c'è stato alcun bullismo. La stessa versione è stata raccontata da uno dei colleghi accusati che ha affermato: "Non si tratta di bullismo, qui bisogna chiamare le cose con il proprio nome.

È vero che sono state scattate delle foto ad Andrea da parte di altri dipendenti, ma non si tratta di immagini violente, bensì di scatti goliardici come accade in qualsiasi luogo di lavoro".

Ora la Procura ha aperto un nuovo fascicolo perché la morte di Andrea deve avere dei colpevoli, ma soprattutto deve avere un perché.