Aveva 23 anni, Salvatore Vacca, quando nel settembre del 1999 morì di leucemia linfoblastica acuta, dopo essere stato esposto per mesi e mesi a munizioni all’uranio impoverito. Era stato in Bosnia per diverse missioni, negli anni 1998 e 1999. E ora, dopo tante battaglie, anche lui ha avuto un po’ di giustizia, insieme alla sua famiglia. Il ministero della Difesa, infatti, è stato condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Roma per omicidio colposo. E nella sentenza pubblicata l'altro giorno è stata messa, nero su bianco, una triste verità.

E cioè che lui, caporalmaggiore dell’esercito e del 151°reggimento della Brigata Sassari, originario di Nuxis, un paesino a 50 chilometri da Cagliari, venne esposto “senza nessuna adeguata precauzione e senza nessuna opportuna informazione sulla pericolosità a delle sostanze nocive”. Il ministero è stato anche condannato a pagare un risarcimento danni che si aggira intorno ai due milioni di euro.

Finalmente la verità è venuta a galla

In prima linea c’è stata soprattutto lei, Giuseppina, la mamma di Salvatore che ha avuto sempre fiducia nei giudici e nella verità. Da quando, 16 anni fa, ha deciso di iniziare la battaglia. “Abbiamo avuto finalmente giustizia – ha dichiarato all’agenzia Ansa la donna – non saranno i soldi, se mai ce li dovessero dare, a riempire il vuoto che ha lasciato Tore.

Era un ragazzo gioioso e ben voluto da tutti. E adesso non c’è più”. Una sentenza che, secondo Domenico Leggero, responsabile dell’Osservatorio militare e da sempre vicino alle vittime da uranio, “mette la parola fine a quella che può essere considerata una strage: 333 militari morti e oltre 3600 malati”.

Non è stato il primo caso venuto alla luce

Il caporalmaggiore del 151°reggimento della Brigata Sassari era solo uno dei tanti soldati italiani (morti) che hanno partecipato a diverse missioni in Albania e nei Balcani. Insieme a lui anche un altro suo collega sardo, Valery Melis, deceduto nel 2004 dopo una grave malattia, contratta molto probabilmente dopo aver inalato le cosiddette polveri di uranio impoverito durante una delle tante missioni di “peacekeeping”, letteralmente “mantenimento della pace”, in Albania e in Kosovo.

In questo caso il ministero delle Difesa, tempo addietro, è stata condannato dal tribunale civile di Cagliari ad un risarcimento danni di 548 mila euro. Stessa sorte anche per Gianluca Danise, primo maresciallo incursore dell’Aereonautica Militare, morto lo scorso 27 dicembre per “aver respirato quelle polveri maledette”. Ed è stato anche l’unico militare malato, a causa dell’uranio impoverito, ad aver ricevuto una telefonata personale del ministro della Difesa, Roberta Pinotti.

Parole dure nella sentenza

I giudici della Corte d’appello civile di Roma spiegano che “la pericolosità delle sostanze è legata fortemente alla sua concentrazione”, si legge nella sentenza pubblicata pochi giorni fa dal Tribunale.

Ed evidenziano che “l’atteggiamento inadempiente, per colpa, è dell'Amministrazione della Difesa" . Tra le righe, tra l’altro, viene anche denunciata “la condotta colposa dell'autorità militare che non ha valutato e pianificato tutti i rischi possibili”. Una sentenza che darà ancora una maggiore spinta alla commissione d’inchiesta, guidata dal senatore Gian Piero Scanu, che dovrà far luce sulle morti provocate dall’inalazione dell’uranio impoverito.