Insospettabile professionista di successo, titolare di una piccola società di consulenze di giorno e un killer di professione di notte. Questo è l'identikit di Marco Gallo, 32 anni, accusato dell'omicidio di Francesco Pagliuso, noto avvocato penalista di Lamezia Terme, freddato da alcuni colpi di pistola nella notte tra il 9 e il 10 agosto del 2016.
Un killer insospettabile che lavorava con la moglie
Gallo è riuscito a mantenere intatta la propria fedina penale, grazie alla sua freddezza e al fatto di non essere un affiliato alle cosche. Killer professionista esclusivamente per denaro, lavorava in team con la moglie anche lei insospettabile infermiera, complice nei pedinamenti e nei sopralluoghi.
Gallo accusato anche dell'omicidio di un negoziante, viene descritto come abile tiratore che si esercitava regolarmente con la pistola, in possesso della licenza di porto d'arma per uso sportivo. Malgrado la sua scaltrezza, commette l'errore di non sbarazzarsi della moto, con la quale si è allontanato dopo aver colpito la vittima. Gli investigatori, dopo aver analizzato migliaia di filmati, arrivano a lui. La certezza del suo coinvolgimento arriva tramite l'analisi del Gps, installato sulla vettura di Gallo: nei giorni precedenti e la sera dell'omicidio, si trovava nei pressi del luogo dove è avvenuto l'omicidio.
Ucciso per aver vinto un processo
Seppure la matrice di impronta mafiosa era piuttosto chiara agli inquirenti, visto che Pagliuso era coinvolto in tutti i più importanti processi di 'ndrangheta tra Lamezia Terme e Catanzaro, è stato difficile comprenderne subito il movente.
È piuttosto improbabile che la criminalità organizzata elimini un penalista affidabile, ma le indiscrezioni di alcuni collaboratori di giustizia mettono la procura di Lamezia sulla buona strada.
Francesco Pagliuso si era ritrovato in mezzo ad una faida tra due famiglie della 'ndrina, gli Scalise e i Mezzatesta, prima alleati e successivamente acerrimi nemici.
Nel 2012 l'avvocato Pagliuso - che era il legale della famiglia Scalise - secondo le testimonianze dei pentiti, viene prelevato e condotto bendato in un bosco nei monti del Reventino, dove viene percosso e minacciato da Giovanni Vescio, Francesco Iannazzo e Daniele Scalise. Accusato di non aver difeso efficacemente lo Scalise in alcuni processi che lo vedevano coinvolto, grazie all'intervento di Pino Scalise, la situazione non è precipitata.
L'episodio non fu mai denunciato ma persone molto vicine a Pagliuso, rivelarono che il penalista aveva rischiato seriamente la vita. L'apice della guerra tra le due famiglie mafiose, avviene tra gennaio 2013 e giugno 2014 quando vengono assassinati uno dopo l'altro Vescio, Iannazzo e Daniele Scalise.
Pagliuso difende Domenico Mezzatesta e il figlio Giovanni, accusati di quegli omicidi riuscendo ad evitare l'ergastolo, ma quella vittoria è la sua condanna a morte.