È risaputo ormai che l’Italia stia attraversando una situazione critica per quanto riguarda l’età media della popolazione. Sempre meno bambini e sempre più anziani, arrivando ormai alla definizione di “paese vecchio”. Questo porta ad una serie di conseguenze alle quali raramente si pensa; come quelle che riguardano il mondo scolastico.
Secondo “Scuola. Orizzonte 2028” della Fondazione Agnelli, in dieci anni da avere 9 milioni di banchi occupati da studenti di tutte le età e considerando tutti i livelli scolastici, si arriverà a quota 8 milioni. Oltre ad essere una prospettiva inquietante sotto un punto di vista di età media della popolazione, questo comporterebbe una perdita di 55.000 posti di lavoro, prospettiva piuttosto preoccupante in un clima di sconforto dato dalla crisi economica che sta investendo il paese.
Le cause
L’avere in atto un fenomeno di invecchiamento della popolazione non causa solo una diminuzione nel numero dei bambini (condizione di cui l’Italia è protagonista indiscussa, purtroppo, in un frangente europeo), ma anche una netta riduzione di quello delle madri potenziali (cioè donne di età compresa tra i 15 ed i 45 anni).
Già il calo di queste ultime del 10% tra il 2007 ed il 2017 ha portato alle conseguenze di cui sopra. Ma anche il minor desiderio di avere figli (-6% per le donne italiane e -15% per quanto riguarda quelle straniere) contribuisce all’abbassamento tra il 9 ed il 16% dei ragazzi in età compresa tra i 6 ed i 16 anni (cioè le età in cui la frequentazione della scuola è obbligatoria).
Anche i flussi migratori diminuiti del ben 3,5% sempre in dieci anni sono fattori importanti che contribuiscono negativamente su queste stime.
Le conseguenze
Ma un abbassamento nel numero degli studenti significa anche un abbassamento del numero dei docenti necessari. La situazione più nera è quella della scuola dell’infanzia e di quella primaria, le prime ovviamente a subire il netto stacco.
Le scuole di secondo grado, infatti, avranno ancora per qualche anno un debole aumento, causato dal gran numero di ragazzi ora in molto giovane età.
Per le scuole materne si stimano entro il 2028, 6.300 sezioni in meno ed una perdita di 12.600 posti di lavoro. Per quelle di istruzione primaria la situazione si fa ancora più tragica, con 18.000 classi scomparse ed un vuoto di 22.100 insegnanti.
Come già detto, la vera e propria crisi raggiungerà solo in un secondo momento gli istituti medi e superiori, soprattutto quelli del Nord e del Centro che, per ora, sono ancora fortemente attaccati ad un salvagente. Ad affondare più velocemente sono le scuole del Meridione, con perdite che oscillerebbero sul 17% negli asili, 19% in elementari e scuole superiori di primo grado e 13% invece in quelle di secondo grado.
Possibili soluzioni
Se non si vogliono lasciare a casa, dunque, più di 50 mila docenti ed arrivare ad uno stagnamento nel rinnovo del personale scolastico, si apre la necessità di cambiare qualcosa nell’organizzazione alla base dell’universo dell’istruzione. I trasferimenti di maestri e professori verso Nord non sono una soluzione, vista la portata nazionale della crisi.
Potrebbe essere una scelta per il governo odierno - e poi per quelli che lo succederanno - investire di più nell’istruzione. Rimanendo a guardare la catastrofe da lontano senza reagire si risparmierebbero 1.8 milioni di euro. Ma a che pro conservare quel denaro, quando una grande fetta di popolazione rimarrebbe senza un mestiere con cui guadagnarsi da vivere?
Non avendo nessun potere sul controllo delle nascite, possibili vie di scampo potrebbero essere quelle di prolungare la permanenza dei ragazzi a scuola anche nel pomeriggio, di aumentare il numero medio degli insegnanti per classe o, viceversa, diminuire quello degli alunni. Importanti sarebbero anche una serie di politiche contro l’abbandono della scuola dopo i 16 anni.