E' il momento della disperazione e della rabbia. Dalla casa di famiglia di Muntinlupa City dove la piccola italofilippina Gaia è stata vegliata dai familiari prima dei funerali, sua madre, Manette Trimarchi, lancia un grido di dolore e di denuncia per una morte che poteva essere evitata. Sua figlia è morta a sette anni, lo scorso 26 luglio, dopo essere venuta in contatto nell'isola filippina di Sabitang Laya, dove si trovavano in gita, con uno dei sessanta tentacoli di una letale cubomedusa, altrimenti detta 'vespa di mare'.
Tra le specie più velenose al mondo, seconda solo al cobra reale, questa medusa può uccidere anche in meno di un minuto. Gaia è morta per una violenta reazione allergica e per il troppo tempo trascorso, oltre 40 minuti, per portarla in ospedale e prestarle i soccorsi, a quel punto, inutili.
Manette, di origine filippina, abitava con il marito Giuseppe Trimarchi e la figlia a Roma e andava nelle Filippine come turista d'estate. Sulla spiaggia infestata da 'jellfish', mancavano cartelli informativi sul pericolo. Il caso sta suscitando reazioni e polemiche nel paese del sud est asiatico, tanto per la mancanza di misure di sicurezza che per le carenze nei soccorsi.
Morta mentre raccoglieva conchiglie, il racconto della mamma
"Nessuno ci ha avvertito del pericolo", denuncia la mamma nel ricostruire cosa è accaduto in pochi istanti in quella maledetta giornata. L'incidente mortale è avvenuto durante l'ultima tappa del viaggio della famiglia nell'isola di Sabitang Layache. Una gita che Manette aveva organizzato in compagnia del fratello, la cognata, l'istruttore di nuoto della piccola. Gaia, infatti, era un talento del nuoto: in primavera aveva conquistato la medaglia d'oro nelle specialità del dorso e della rana, dopo aver vinto gare regionali.
Il 26 luglio la piccola si è immersa nelle acque cristalline, poi in un punto in cui l'acqua era bassa, stava raccogliendo conchiglie.
Erano la sua passione. All'improvviso ha urlato dal dolore e subito le sono comparse bolle viola su una gamba e su una mano. Ha chiesto alla mamma cosa le stesse succedendo e l'ha pregata di portarla via da quella spiaggia. La bambina è stata trasferita sulla barca. L’equipaggio e la guida turistica hanno detto che era stata punta da una medusa, ma a bordo non c'era un kit di primo soccorso, neanche l'aceto che fa da antidoto al veleno. Un marinaio ha raccontato di aver gettato gasolio sulle ferite della bambina in assenza di altro. All'arrivo in ospedale nell'isola più vicina, Gaia era in condizioni disperate e non ce l'ha fatta.
Manette ha raccontato alla tv filippina ABS-CBN News che sua figlia le è morta tra le braccia.
Giusto una settimana prima, un piccolo di sei anni è morto punto da una stessa medusa. Accusa il suo paese: non c'erano cartelli che avvisassero del pericolo mortale. La minaccia che viene dal mare, ogni anno, nelle Filippine uccide 40 persone e cento in tutto il mondo, fa più vittime dei temuti squali bianchi. "Nessuno ci ha informato che la zona era infestata da quella medusa, ha detto Manette - ci dovrebbe essere un kit di primo soccorso su ogni barca". I funerali si sono già svolti a Manila, ma la bambina sarà presto riportata a Roma per essere cremata.
Meduse, paesi in cui le misure di sicurezza funzionano
Le cubomeduse sono diffuse soprattutto nei paesi del bacino indo-pacifico. Alcuni sono ben attrezzati per contrastarle e mettere in sicurezza turisti e bagnanti.
In Thailandia, ad esempio, vi sono reti sistemate nelle acque poco profonde e avvisi. Nelle spiagge australiane ci sono cartelli informativi e dispenser contenenti aceto per intervenire immediatamente in caso di contatto, oltre a reti antimeduse simili a quelle che si usano per gli squali.