A sparare a Marco Vannini nella villa familiare di Ladispoli la notte del 17 maggio 2015, non sarebbe stato Ciontoli padre, ma il figlio Federico. Anzi, sembrerebbe che il padre quella sera neanche fosse in casa. E' quanto rivela Davide Vannicola, teste mai sentito prima d'ora, spuntato fuori dopo quattro anni dalla morte a 20 anni di Marco, tragedia che ha sconvolto l'Italia e tuttora desta grande mobilitazione collettiva per ottenere verità e giustizia.

L'uomo, amico storico dell'ex comandante della locale stazione dei carabinieri, Roberto Izzo, avrebbe deciso di parlare solo ora, perché gli pesa sulla coscienza ciò che sa su come sarebbero realmente andati i fatti.

Alla trasmissione Le Iene, infatti, ha raccontato una storia clamorosa rispetto alla versione ufficiale della morte di Marco, che potrebbe ribaltare la verità processuale finora emersa in due gradi di giudizio.

Il testimone inaspettato

Alla iena Giulio Golia, Davide Vannicola ha deciso di raccontare cosa sarebbe realmente accaduto nella villa a Ladispoli della famiglia Ciontoli perché non riuscirebbe più a tenersi dentro un segreto che da quattro anni pesa come un macigno sulla sua vita. Ci ha messo tanto prima di parlare perché aveva paura di non essere creduto e di subire ritorsioni. "Questa cosa mi ha segnato, e spero servirà a qualcuno", ha detto.

Tutto è iniziato dopo la messa in onda dello speciale delle Iene su Marco Vannini, quando ha chiamato la redazione una persona dicendo che qualcuno sapeva sul caso cose inedite, importanti.

E così Golia ha raggiunto Vannicola: ha raccontato che era amico stretto di Roberto Izzo, allora comandante della locale stazione dei carabinieri, il quale a sua volta era in grande confidenza con Antonio Ciontoli, padre di Martina e fidanzata di Marco, condannato in Appello a cinque anni di reclusione per omicidio colposo, mentre il resto della famiglia a tre anni, e la fidanzata del figlio, Viola Giorgini, è stata assolta.

Secondo il racconto del teste, Izzo, a cui Ciontoli avrebbe promesso una fine carriera nei servizi segreti e che in cambio gli voleva regalare una pistola, sarebbe stato il primo a cui Ciontoli chiese aiuto. Non nella telefonata ufficiale dell'una e 18 agli atti, ma in un'altra telefonata che non risulta esserci, però il teste dice che Izzo aveva due numeri di telefono.

Finora tutta la responsabilità del colpo partito intorno alle 23 e 15 da una delle sue due pistole se l'era assunta Ciontoli padre che per questo è stato condannato. Izzo avrebbe fatto visita a Vannicola nel suo negozio di borse per confidargli che Ciontoli lo chiamò prima di far intervenire l'ambulanza per risolvere "un guaio grosso fatto dai suoi familiari": a sparare a Marco nella vasca da bagno di casa sarebbe stato il figlio Federico. Izzo avrebbe preso del tempo per consigliarlo sul da farsi e ciò avrebbe ritardato i soccorsi che avrebbero potuto salvare Marco.

'Non è stato Ciontoli, ma suo figlio'

A Vannicola, con cui poi il rapporto si è incrinato e l'amicizia è venuta meno, avrebbe confessato piangendo che a Ciontoli avrebbe consigliato di stare zitto e di prendersi la colpa di aver sparato lui a Marco Vannini al posto del figlio perché in questo modo lavorando nei servizi segreti se la sarebbe cavata, altrimenti il figlio invece avrebbe avuto la vita rovinata.

Inoltre, una vicina di casa sostiene che Ciontoli non fosse in casa al momento dello sparo: a Golia ha detto di non aver visto la sua macchina parcheggiata al solito posto e di non aver sentito la sua voce. Tra Izzo e Ciontoli, contrariamente da quanto dichiarato come testimone al processo da Izzo, ci sarebbe stata un'amicizia, al punto che sei mesi prima della tragedia Izzo avrebbe portato Ciontoli nel negozio di Vannicola commisionandogli una borsa su misura con tanto di fondina per la pistola.

La tesi 'difensiva' del maresciallo Izzo

La testimonianza di Vannicola, se acquisita, potrebbe portare a una revisione del processo, proprio ora che i difensori di Ciontoli hanno fatto ricorso in Cassazione perché ritengono che cinque anni di reclusione siano troppi.

Messo alle strette da Golia, il maresciallo Izzo ha detto che quella telefonata non esisterebbe, e non è vero che avrebbe confessato, per lo più piangendo, ciò che non sarebbe mai accauto. Di telefonata ci sarebbe solo quella ufficiale agli atti, e l'unica verità sarebbe quella processuale.

Ma il brigadiere Manlio Amadori, il secondo carabiniere di Ladispoli che seguì all’inizio il caso, la sera della morte di Marco, aveva sentito Ciontoli dire in un primo tempo ad Izzo, riferendosi alle responsabilità dello sparo, “ora inguaio mio figlio”. Il brigadiere ha fatto capire a Le Iene, di poter raccontare qualcosa, se autorizzato. A lui si è rivolta nel corso della trasmissione Accordi e Disaccordi la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, perché vada a dire ciò che sa ai pm.