E' arrivata nella mattinata di ieri la notizia che le comunità di Saviano e Somma Vesuviana, due piccoli centri abitati della Città Metropolitana di Napoli, attendevano da più di tre anni. Finalmente giustizia è fatta per Francesco Tafuro e Domenico Liguori, i due gestori di un centro scommesse di Somma Vesuviana, vittime della follia omicida di Eugenio D'Atri, uomo ritenuto appartenente e vicino al clan camorristico Cuccaro del quartiere Barra-Ponticelli. Soddisfatti della decisione della Corte di Assise gli avvocati Felice Iovino ed Erasmo Fuschillo, legali della famiglia Tafuro.
La sentenza
La Corte d'Assise di Napoli, riunita coi i giudici della terza sezione penale, ha emesso la sentenza di condanna nei confronti di D'Atri, ritenuto dagli inquirenti e dai magistrati il mandante del duplice omicidio. Il "ras" del vesuviano è stato condannato in secondo grado di giudizio alla pena dell'ergastolo con l'aggravante dell'isolamento diurno per la durata di un anno. Su istanza del pm Gianfranco Scarfò, oltre alla pena dell'ergastolo, D'Atri è stato anche interdetto dai pubblici uffici per l'intera durata della reclusione e condannato al pagamento delle spese del processo, oltre che al risarcimento danni a favore della parti civili costituite, ossia i familiari delle due vittime (Salvatore Liguori, Antonietta D'Avino, Antonio Tafuro, Annunziata Meo, Giovanni Tafuro, Aurora Assunta Liguori, Lucia Tafuro), da essere liquidato in giudizio separato.
Eugenio D'Atri, sino all'ultimo minuto, aveva sempre professato la sua totale innocenza, respingendo le accuse che gli muovevano i magistrati e scaricando tutte le responsabilità su Nicola Zucaro, esecutore materiale e killer delle due vittime, già condannato lo scorso luglio 2017 alla pena del carcere a vita.
L'omicidio
Francesco Tafuro e Domenico Liguori, due bravi ragazzi di provincia, originari il primo di Saviano e il secondo di Somma Vesuviana gestivano un centro scommesse, lo stesso frequentato dal ras Eugenio D’Atri, che abitava poco distante dal locale di scommesse.
I due ragazzi, dopo aver anticipato un ingente somma di danaro a D'Atri, circa 25 mila euro persi in scommesse, avevano incalzato il loro debitore affinché saldasse il debito e restituisse la somma anticipata. Secondo la tesi dell'accusa, però, il D'Atri, per non pagare il debito, avrebbe deciso di sbarazzarsi dei due ragazzi.
Era il 16 febbraio di tre anni fa quando le due vittime, con un pretesto, furono condotte in una strada isolata delle campagne savianesi, dove furono barbaramente trucidate con diversi colpi di arma da fuoco.