Confermata la confisca, da parte della magistratura, dell'intero patrimonio dell'imprenditore di Formia (in provincia di Latina) Vincenzo Zangrillo, ritenuto "essere un affiliato" del clan dei Casalesi, camorristi della provincia di Caserta che nel sud del Pontino hanno spesso investito i proventi illegali della droga e del pizzo in appartamenti e immobili a uso commerciale. Gli stessi boss, in questi anni, si sono serviti anche di figure border-line come il fabbro-imprenditore di origine formiana.

Vincenzo Zangrillo da artigiano ad imprenditore

Nato a Formia, dopo aver prestato il servizio militare nell'Arma dei Carabinieri come ausiliario ed essere ritornato a casa al termine della leva, ha gestito la sua attività di fabbro sia per contro proprio che per conto terzi insieme al fratello Francesco.

Il passaggio da artigiano del ferro a imprenditore è avvenuto verso la fine degli anni '90, quando l'espansione economica dei Casalesi nei territori del sud del Lazio è stata invasiva ed evidente, tanto da far esclamare a Francesco Schiavone, alias Sandokan, che "Formia è in provincia di Casale". Un'affermazione che, nel corso degli anni, ha trovato riscontro nelle indagini della Dda di Roma.

L'imprenditore ha diversificato, attraverso varie partecipate, la sua attività imprenditoriale, diventando ricchissimo: in 25 anni si è affermato nei settori del trasporto merci su strada, l'immobiliare, lo smaltimento dei rifiuti, il commercio all'ingrosso e la vendita di automobili nuove e usate. Una capacità di gestire diverse aziende che gli hanno permesso di accumulare un'immensa fortuna.

Le indagini hanno determinato che il suo elevato tenore di vita lo ha sviluppato legandosi strettamente con due esponenti di spicco dei Casalesi, Antonio Mendico e Nicola Schiavone. Per cui, messo sotto osservazione agli agenti della Direzione distrettuale antimafia, Zangrillo ha accumulato varie denunce per diversi reati da lui commessi, ma lo stesso imprenditore ma non ha mai cercato, o meglio, mai voluto cambiare il suo stile di vita.

Pertanto, nel 2018, il Tribunale di Latina ha deciso, dopo la conclusione delle indagini, di mettere sotto sequestro i beni da lui posseduti, per un valore stimato intorno ai 22 milioni di euro: 200 mezzi, 150 immobili, 21 ettari di terreni, sei società, 21 conti correnti e rapporti bancari di varia natura, siti nelle province di Latina, Frosinone, Napoli e Isernia.

La decisione definitiva di confisca decisa dalla Corte di Appello di Roma

Una decisione che i giudici romani hanno preso il 29 maggio perché l'imprenditore è stato accusato dei seguenti reati: traffico internazionale di stupefacenti, smaltimento illegale di rifiuti, contrabbando di tabacchi, riciclaggio e vendita illegale di autoveicoli rubati. La Corte d'Appello di Roma si è avvalsa anche di un consulente esterno che, nella sua relazione conclusiva, ha ben definito il comportamento criminale di Zangrillo, descrivendolo come una persona che "non ha mai cessato di delinquere", accumulando nel corso degli anni numerose segnalazioni all'autorità giudiziaria, che hanno portato al sequestro delle sue proprietà e al regime di sorveglianza speciale a suo carico per tre anni, poi ridotti a due.