Un modello cinese suggerisce che l'Italia, per evitare un'ulteriore diffusione dell'epidemia da nuovo Coronavirus, dovrebbe seguire le misure restrittive fino al 5 agosto. La ricerca effettuata da un team di scienziati diretto da Wangping Jia del Chinese Pla General Hospital di Pechino ha messo a confronto gli effetti della malattia sugli abitanti della provincia di Hunan con quelli italiani.

Lo studio, pubblicato su Frontiers in Medicine, sostiene che l'Italia abbia cominciato ad allentare le restrizioni troppo presto. I ricercatori hanno stimato un totale di contagi nel nostro Paese compresi tra i 116.114 e 274.378 casi e hanno messo in guardia da un'eventuale seconda ondata epidemiologica che potrebbe essere più virulenta della prima.

Nuovo coronavirus ancora in piena attività

Gli scienziati cinesi ritengono che si debbano continuare ad applicare delle rigorose misure restrittive che sarebbero fondamentali per avere una significativa riduzione della diffusione della Covid-19. Wangping Jia ha affermato che, a suo parere, la parziale riapertura delle attività in Italia e di alcuni spostamenti siano arrivati troppo presto. Si rischierebbe, infatti, una seconda ondata di contagi "se le restrizioni venissero allentate tre mesi prima". Il medico cinese ha poi sottolineato: "L'Italia non è alla fine dell'epidemia di Covid-19".

Considerando che Hunan e l'Italia hanno delle similitudini per numero di abitanti (tra i 60-70 milioni di persone) è emerso che l'impatto dell'epidemia è stato alquanto differente.

Quando lo studio è stato pubblicato, il nostro Paese era al secondo posto come numero di decessi subito dopo gli Stati Uniti e al terzo posto per il computo delle infezioni, come risulta dai dati del Coronavirus Resource Center dell'Università Johns Hopkins. Inoltre bisogna considerare che Hunan conta circa mille casi confermati.

L'Italia rischierebbe una seconda ondata di contagi

I ricercatori hanno monitorato il database della Johns Hopkins, prendendo come riferimento i dati fino al 2 aprile per mappare le tendenze della Covid-19 a Hunan e in Italia. Inoltre hanno modificato un modello matematico denominato Sir per poter controllare gli effetti delle varie misure di prevenzione messe in atto nei due territori.

Questo metodo ha evidenziato che si potrebbero conteggiare 3.369 casi (una media che va da 840 a 8.013) a Hunan, con fine epidemia segnata al 3 marzo. Per l'Italia, invece, si parlerebbe di centinaia di migliaia di casi calcolando la fine dell'epidemia ad agosto. Questa differenza sarebbe legata alle diverse misure restrittive attuate dalle istituzioni: i ricercatori cinesi, infatti, ipotizzano che la prevenzione tempestiva e severa messa in atto a Hunan abbia permesso di evitare un'eccessiva diffusione del virus, riducendone il tasso di infezione.

Azione severa del governo per contrastare il nuovo coronavirus

L'analisi cinese ha ribadito l'importanza delle misure preventive, della diagnosi precoce e dell'isolamento degli individui con determinati sintomi, senza dimenticare le restrizioni alla mobilità, i controlli medici completi e gli screening sia in entrata che in uscita.

Questo sistema potrebbe impedire un'ulteriore diffusione della Covid-19 tra la popolazione di tutti i Paesi, risultando così potenzialmente efficace per frenare l'avanzata di questo nemico invisibile.

Gli scienziati hanno anche messo in evidenza alcuni limiti dello studio effettuato dal team. Prima di tutto, è probabile che i soggetti contagiati siano molti di più di quanto sia stato riportato ufficialmente. Vi sarebbero poi altri fattori che potrebbero avere una certa influenza sulle stime, e tra questi vi sarebbe l'effetto dei Super diffusori.

Jia, ad ogni modo, ha affermato che la ricerca è giunta ad un risultato sul quale non ci sarebbero dubbi: "Vogliamo sottolineare - ha dichiarato il ricercatore - che un intervento governativo precoce può ridurre notevolmente il numero di casi infetti, come evidenzia il confronto dei trend dell'epidemia a Hunan e in Italia".