Alberto Stasi, 39 anni, condannato nel 2015 a 16 anni di carcere per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi del 2007, è stato ammesso dal tribunale di sorveglianza di Milano al lavoro fuori dal carcere. Dal 24 gennaio di quest'anno, dopo 7 anni dal suo ingresso nel carcere di Bollate, dice il Corriere della sera, Stasi esce ogni giorno dalla cella per andare a lavorare. Svolge mansioni amministrative e contabili ed è tenuto a seguire rigorose prescrizioni sugli orari di uscita e di entrata dal carcere, sui mezzi di trasporto utilizzabili e sui percorsi da seguire.
Prima lavorava per un call center dall'interno del carcere.
Una precedente richiesta di lavoro esterno, portata avanti lo scorso anno dall'avvocato di Stasi, Laura Panciroli, era stata rifiutata dalla giudice Maria Paola Caffarena, perché le relazioni presentate per la richiesta non fornivano "tutti gli elementi criminologici indispensabili alla prognosi".
Le accuse ad Alberto Stasi
Il 12 dicembre 2015 la Corte di Cassazione ha ufficialmente riconosciuto Alberto Stasi come unico colpevole dell'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, impiegata ventiseienne laureata in economia, colpita a morte il 13 agosto 2007 con un oggetto contundente che non venne mai identificato e ritrovata dallo stesso Stasi nella casa a Garlasco, in provincia di Pavia, in cui la donna viveva con la famiglia.
Secondo gli inquirenti, la vittima conosceva l'assassino, avendogli aperto la porta di casa in pigiama. Avendo fornito una versione incongruente dei fatti e sospettato di essersi pulito le scarpe e cambiato i vestiti, che secondo la ricostruzione dei fatti avrebbero dovuto essere sporchi di sangue, l'allora ventiquattrenne diviene subito il primo sospettato.
Il caso di cronaca nera incendiò i media per le sue stranezze, come il giallo della bicicletta nera o il DNA rinvenuto sotto le unghie della vittima, non corrispondente con quello di Stasi. La ricostruzione degli inquirenti è che Stasi sia andato a casa Poggi in bici e che dopo aver ucciso Chiara sia tornato sul luogo del delitto in auto, inscenando il ritrovamento del delitto.
Seguì una travagliata vicenda legale: arrestato e poi scarcerato per assenza di prove, successivamente assolto dall'accusa di omicidio al processo con rito abbreviato, sentenza che viene annullata dalla Cassazione nel 2013, viene infine condannato con un secondo processo nel 2014 a 24 anni di reclusione, pena poi ridotta a 16 anni.
Contemporaneamente, Stasi venne accusato anche del possesso di materiale pedopornografico, il cui possibile ritrovamento da parte di Chiara si pensò potesse costituire un movente per il delitto. Nel 2014 la Corte di Cassazione scagionò Stasi dall'accusa, in quanto i presunti file non erano mai stati scaricati, ma si trattava di "tracce" recuperate in modo parziale dalla polizia scientifica e che non erano mai state visionate dall'imputato.
La pena con finalità riparativa e preventiva
Secondo l'articolo 15 dell'ordinamento penitenziario, il lavoro esterno è un beneficio che rientra negli elementi di un quadro di trattamento rieducativo. Il lavoro esterno non è obbligatorio né afflittivo e ha una funzione risocializzante. Le caratteristiche e le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa del detenuto sono stabilite dall'ordinamento all'articolo 20.
Il Tribunale, presieduto da Rosanna Calzolari, riconosce che "mai come in questo caso la pena debba avere una finalità riparativa non solo esterna, oltre che preventiva". Concedendo a Stasi la possibilità di uscire dal carcere per lavorare, il Tribunale spera che il ristabilire contatti con l'esterno, oltre alla gestione di responsabilità e relazioni lavorative, possa incoraggiare un'introspezione psicologica più approfondita.
Infatti Stasi continua a negare di aver ucciso la fidanzata, l'ultima volta in un'intervista concessa a Le Iene il 24 maggio 2022, atteggiamento di negazione che il Tribunale definisce "legittimo" e che ritiene potrebbe sottendere "dinamiche interiori e meccanismi di rifiuto a se stessi", come riporta il Corriere.
Il risarcimento da 700 mila euro alla famiglia di Chiara Poggi
Inizialmente, il giudice aveva stabilito un risarcimento di un milione di euro di danni e 150 mila euro di spese legali in favore dei genitori della vittima. Nel 2016 La Repubblica riportava che Alberto risultava nullatenente, avendo rinunciato all'eredità del padre Nicola, morto nel 2013, non potendo quindi procedere al risarcimento.
Tuttavia, nel 2018, Stasi ha raggiunto in sede civile un accordo con la famiglia di Chiara, impegnandosi a risarcire 700 mila euro. Metà della somma è già stata liquidata, la parte rimanente sarà risarcita con detrazioni sugli stipendi, prima dal lavoro in carcere e poi fuori. In merito al lavoro in esterno, la mamma di Chiara Poggi, Rita Preda, dichiara così all'Ansa: "Sapere che chi ha ucciso nostra figlia dopo sette anni già esce dal carcere, pur senza aver mai ammesso la sua responsabilità, spiace. Non sono notizie belle. Ma la legge è così e non possiamo farci niente. Del resto ci aspettavamo che un momento o l'altro avrebbe ottenuto questo beneficio".
Ancora l'Ansa riporta la dichiarazione del legale dei Poggi, Gianluigi Tizzoni: "C'è un tema di ammissione di responsabilità.
Il primo giudice aveva negato il lavoro esterno perché Stasi non ha mai ammesso nulla. Altri tribunali non lo concedono se non risarcisci e non c'è un pentimento. Succede solo a Bollate e per i detenuti 'mediatici". "L'aspetto più deleterio è che la parte offesa non è stata avvertita, è vero, la legge non lo impone, ma neppure lo vieta".
La pena di Stasi terminerà nel 2030, ma, con lo scomputo di 45 giorni ogni 6 mesi di carcere per buona condotta, potrebbe uscire anticipatamente nel 2028 e chiedere l'affidamento in prova a partire dal 2025.