Sacro Gra di GianfrancoRosi, Leone d'Oro a Venezia e successo di botteghino, undocumentario in cui la regia, la sceneggiatura e la fotografia sonoopera dello stesso Gianfranco Rosi, autore di documentari sulMessico e sul narcotraffico come El sicario e Below sea level, ilmontaggio di Jacopo Quadri.

Questo film, vincitore del Leone d'oro, è uno sguardo non tanto sul luogo, quanto sull'umanità che lo abita. E l'umanità che emerge è anch'essa desolata e piatta come quel luogo. La cifra stilistica del lavoro è 'il grottesco'. Le persone che Rosi ci descrive sono creature assolutamente veritiere e nella molteplicità dei caratteri emerge una linea comune, questo essere tutti disperatamente soli, soli alle prese col denaro facile, come le prostitute, con leggi che non proteggono il lavoro umano, come nell'anguillaro, nello scienziato, solo con i suoi insetti e quei rumori che sente dentro il tronco delle palme.

Solitudine anche per il nobile che cerca di ragranellare soldi affittando la sua dimora immobiliare il cui mantenimento diventa troppo esoso, solo con una figlia laureanda il nobile piemontese, sola la donna che vive in un condominio che si affaccia sul Grande Raccordo Anulare, solo il barelliere che alla fine della giornata, rientrando a casa non trova niente di meglio da fare che parlare in videocomputer con una donna di mezza età.

La solitudine è il contrassegno del luogo, solo di passaggio, e delle persone. Ma c'è un fotogramma che sicuramente colpisce l'osservatore, quello della prostituta che ripresa frontalmente e di profilo, sembra con la sua possente corporatura e quel trucco pesante lanciare uno sguardo perso sul luogo, sulla via percorsa ininterrottamente da una gran fila di automobili.

Quel fotogramma ricorda l'immagine mitica con cui si chiude il film 'Roma' di Fellini.

La grande prostituta che domina incontrastata sulle sequenze dei monumenti del centro storico e degli affreschi che si cancellano durante i lavori di scavo per la metropolitana. Ma quella è una prostituta favolistica, una matrona romana nera che trionfa su tutto e al suo apparire, con la lascivia che ha addosso e il suo portamento regale, toglie il respiro allo spettatore, questa di Rosi è solo una prostituta vera, col suo bel trucco, con la sua corporatura da granatiere, ma prostituta in tutta la sua realtà.

Il realismo grottesco del documentario, unito ad una sottile vena di comicità, per l'autenticità dei personaggi e per l'ironia dei dialoghi rende l'opera assaporabile, ma quel paesaggio interrotto dal raccordo e inquinato dagli scarichi delle auto insieme ad una umanità ai margini lasciano l'amaro in bocca.