Il Foglio titola: “A Venezia finalmente ha vinto il Cinema”. Ci sembra corretto. Talvolta le pellicole premiate, seppur meritevoli, rispondevano a criteri estetici o narrativi da addetti ai lavori, lontani quindi dal grande pubblico. Di certo Guillermo del toro è molto vicino al grande pubblico. Molte sue pellicole sono state campioni d'incassi grazie al suo linguaggio fantastico, che arriva agli occhi ed al cuore. Il regista appartiene a quella schiera di nuovi registi messicani (Iñárritu, Cuaron ed altri) che regolarmente saccheggiano meritatamente statuette alla notte degli Oscar.
Le sue opere
Fra le sue opere certamente da segnalare “ll labirinto del fauno”, sogni di una bambina nella dittatura franchista durante la guerra civile spagnola, "Crimson Peak" horror sulla crisi del capitalismo e “Mimic”, il secondo suo lungometraggio ma già pieno di tutti gli elementi che caratterizzano il suo modo di fare cinema: portare il fantastico a cimentarsi nella realtà.
Anche “The shape of water” risponde a questo dogma, narrando la storia d'amore fra un mostro marino (i tratti del costume ricordano i vari mostri delle varie lagune nei “Bmovie” horror americani degli anni '50) ed un'impiegata muta durante il periodo della guerra fredda. La cura maniacale del regista per i particolari rende la sceneggiatura logica, scorrevole e fluida mentre la regia accompagna lo spettatore all'interno della storia in modo cortese, con un montaggio lontano dalle frenesie dei supereroi.
Un discorso a parte poi per la bravura di Del Toro nel far rendere al meglio i suoi attori. Nella pellicola premiata, Sally Hawkins interpreta splendidamente il personaggio dell'impiegata muta (unica persona del laboratorio con la quale il mostro interagisce), riempiendo la sua recitazione di piccoli particolari che la rendono credibile e amabile.
La storia d'amore è destinata a scontrarsi con gli obiettivi degli scienziati e dei militari che hanno catturato il mostro per farne un arma sottomarina vivente ed il finale, come spesso succede con Del Toro, avrà un sapore agrodolce.
Il cinema di Giullermo Del Toro è sempre politico: in “Mimic” le trasformazioni genetiche, in “Il labirinto del fauno” la violenza del fascismo, con “Hellboy” l'altra faccia dei supereroi. Per “The shape of water” il messaggio è rinchiuso in una dichiarazione del regista stesso: “Solo l'amore per il mostro potrà salvare il mondo”. Anch'io allora ho qualche speranza.