È difficile riportare in un film una saga sportiva come quella che dalla seconda metà degli anni '70 ai primi degli anni '80 ha visto di fronte due tennisti del calibro di Bjorn Borg e John Patrick McEnroe. Ebbene il regista Janus Metz, con la perfetta sceneggiatura di Ronnie Sandhal, ci è riuscito. E non per la perfetta somiglianza di gesti, tic, muscolature, profili somatici che hanno reso i due attori, Sverrir Gudnason (B.Borg) e Shia LaBeouf (J.P.McEnroe) fotocopie sottratte al tempo, ma per il messaggio sotteso che solo il finale renderà evidente: i due erano due facce di una stessa medaglia.

Si parte dalla vigilia di Wimbledon 1980 dove il 24enne Borg ha la possibilità di vincere il suo quinto titolo sul green londinese. Sulla sua strada solo un peperino Usa di origine irlandese, John McEnroe. Mentre si preparano per la sfida decisiva i due ricordano le loro adolescenze tumultuose: Bjorn era un McEnroe iroso e solo l'intervento del Davisman Lennart Bergelin lo riporta sulla strada di "un punto alla volta". John invece era il classico ragazzo genio matematico indotto da un padre borghese e danaroso.

Borg-McEnroe: due uomini allo specchio

Entrambi volevano diventare il migliore nel campo da tennis. Bjorn arriva alla finale con il peso solitario dell'attesa addosso e rompe con Lennart e con la fidanzata Mariana Simionescu.

John prepara la sua vittoria graficamente rompendo con il suo compagno di doppio Peter Fleming. Il risultato sarà la finale più bella dell'evo moderno tennistico: 5 set di pura adrenalina, dove Borg si consacrerà con il quinto tiolo e riuscirà a staccarsi dal solo orizzonte tennistico e trovare un cammino con Mariana. Mentre John capirà che solo limitando il proprio carattere ed andando oltre se stessi ed emendandosi potrà acquisire il rispetto del suo valore da parte del colto pubblico londinese.

Il passaggio di testimone avviene nel terzo set quando Borg sussurra a McEnroe di stare calmo perché sta giocando bene. Leggenda, realtà? Forse, ma nel tennis - microcosmo della vita - il vero avversario non è chi hai di fronte a te, ma la palla, che è quanto dire te stesso. Metafora della vita e della nostra capacità di non lasciare fuggire una partita.

Diventarono amici i due rivali: l'anno successivo fu McEnroe ad alzare il trofeo e Borg si ritirò contento. Che siano stati due facce della stessa medaglia, indivisibili, perché necessari l'uno all'altro nell'unica lotta benefica, quella della vita?