L’estate 2025 in Salento si preannuncia intensa per gli appassionati di pizzica e tradizioni popolari.
Su tutti spicca il tour itinerante de La Notte della Taranta, che prenderà il via il 3 agosto 2025 a Corigliano d’Otranto con la Taranta in parata, un’esibizione di musicisti e danzatori.
A questo, faranno seguito oltre 50 appuntamenti in 19 comunità della Grecìa Salentina, tra cui Calimera, Sogliano, Cursi, Zollino, Nardò, Ugento, Sant’Andrea (Marina di Melendugno), Sternatia, Carpignano Salentino, Galatone, Lecce, Soleto, Galatina, Cutrofiano, Alessano, Castrignano, Martignano e Martano.
Questi eventi rinnovano la tradizione rituale e simbolica della danza salentina, offrendo un ponte tra passato e presente: un rito collettivo che affonda le radici nel tarantismo, un fenomeno terapeutico rituale che ha dato origine alla pizzica stessa.
Tarantismo: fenomeno culturale del Sud Italia
Il tarantismo è un antico fenomeno popolare diffuso soprattutto nel Salento (Puglia) e in alcune altre zone dell’Italia meridionale da cui deriva la Pizzica Salentina.
Si manifestava durante l’estate (periodo della mietitura del grano) come una sindrome di malessere psicofisico. Secondo la tradizione, il tarantismo nasceva dal morso della tarantola (un ragno) che, seppur innocuo, veniva usato per spiegare stati di prostrazione, depressione, dolori e crisi isteriche nelle contadine.
La 'tarantolata' era quasi sempre una giovane donna nubile, e alla sua sofferenza la comunità rispondeva con un complesso rituale terapeutico domestico: un rito di gruppo basato su un apparato ritmico, musicale, coreutico e cromatico che includeva tamburelli, danze vorticosi, oggetti rituali e colori vivaci.
Ernesto De Martino e le ricerche sul tarantismo
L’antropologo Ernesto De Martino (1908-1965) negli anni ’50 studiò in modo scientifico il Tarantismo.
Nel 1959 guidò una spedizione nel Salento, insieme ad altri studiosi come il musicologo Diego Carpitella, e raccolse testimonianze, foto e registrazioni sonore del fenomeno. Il risultato fu la monografia La terra del rimorso (1961), in cui De Martino interpretò il tarantismo come un fenomeno culturale simbolico più che una semplice patologia fisica.
In questo studio egli sottolineò che l’episodio del presunto morso non aveva fondamento zoologico, ma era piuttosto la "rottura di un ordine prestabilito", ovvero il sintomo di un "male culturale" entro una società contadina segnata da povertà e frustrazioni; la mitologia della taranta e la danza esorcistica permettevano di drammatizzare pubblicamente tensioni psicologiche (tra le più importanti la frustrazione per i lavori nei campi e la depressione per la posizione inferiore della donna nella società, il dolore per gli amori infelici o i lutti) e offrivano al danzatore una sorta di catarsi che lo reintegrava nella comunità.
Grazie a questa prospettiva storicistica e interdisciplinare, De Martino inquadrò il tarantismo nel contesto magico-religioso del Sud Italia, sottolineando il sincretismo fra paganesimo e cristianesimo tipico del luogo.
Il rituale terapeutico: musica e danza
Nella cura tradizionale del tarantismo, musica e danza svolgevano un ruolo terapeutico fondamentale. La pizzica salentina o tarantella salentina era la danza frenetica suonata soprattutto con il tamburello e altri strumenti a percussione.
De Martino definì questo rito una sorta di "esorcismo musicale": il tarantolato veniva fatto danzare senza sosta fino a raggiungere uno stato di trance, liberando così "gli umori maligni" del presunto veleno e ristabilendo l’equilibrio psicofisico. Secondo la tradizione popolare, alcuni abili musicisti erano "in grado, con la musica, di guarire o almeno lenire lo stato di pizzicata": sperimentando combinazioni di ritmo e note, bisognava raggiungere lo stesso ritmo del ragno per ‘esorcizzare’ la tarantolata.
I tamburellisti accompagnavano il movimento delle tarantolate, mentre l’intera comunità partecipava all’evento: suonavano, cantavano e danzavano insieme per vegliare sulla guarigione. In molti racconti storici, la musica ossessiva e il ballo collettivo erano visti come un mezzo per scaricare emozioni represse, trasformando il male personale in una catarsi collettiva.
Implicazioni simboliche e religiose
Il tarantismo aveva profonde valenze simboliche e sincretiche anche, in parte, tramandate o/e evolute dai culti bacchici greci; le sue prime fonti scritte risalgono al XVII-XVIII secolo (come l’Antidotum Tarantulae, un rituale terapeutico musicale considerato un antidoto ai sintomi provocati dal morso della tarantola), ma essa affonda le radici nel medioevo.
La credenza nel morso della tarantola rappresentava metaforicamente diverse angosce (amorose, sociali, esistenziali) e l’evento scatenante era interpretato come un segno sacro. La pratica di cura combinava elementi pagani (riti orfici, danze propiziatorie) con la religiosità cristiana locale.
In Salento, ad esempio, si sviluppò un culto sincretico intorno a San Paolo: consapevole delle radici pre-cristiane del rito, la Chiesa convogliò le tarantolate nella cappella di San Paolo a Galatina (fissando la celebrazione al 29 giugno) pur lasciando intatte la musica e la danza terapeutiche. Come osserva la studiosa Heloise Moschetto, "la pratica dell’esorcismo popolare della taranta è fondata su una superstizione che sincretizza cattolicesimo e paganesimo" e si basa sulla fede in una comunicazione fra visibile e invisibile.
Lo scopo rituale era di portare il malato in trance per espellere il veleno simbolico e guarire non solo il corpo ma l’anima. Un antico spartito musicale del 1832 (opera di Johann F. Hecker) mostra come fin dal XIX secolo fossero codificati i diversi “modi” della tarantella, rivelando l’interesse degli studiosi europei per questo antico rito.
Contesto sociale ed economico
Il tarantismo va compreso nel contesto socio-economico della Puglia rurale del passato. La grande povertà, la fatica dei lavori agricoli estivi e le dure condizioni di vita erano ricorrenti fattori di stress.
Secondo De Martino, il morso della tarantola rappresentava simbolicamente "la rottura di un ordine prestabilito" dovuta a questo disagio e il rituale ne costituiva una protezione comunitaria istituzionalizzata.
Spesso le vittime del tarantismo erano donne nubili frustrate da fatiche e conflitti sociali; il rito aveva anche una dimensione erotico-sessuale implicita (ciò traspare dai canti popolari) che metteva in gioco le coppie ordine/conflitto e salute/malattia all’interno della comunità agreste.
Tra le pieghe di questa tradizione si possono rintracciare residui di culture mediterranee antiche (culto di Demetra o Dioniso) che si adattarono al clima povero del Mezzogiorno: la stessa Puglia offriva un "contesto economico-sociale favorevole all’attecchimento" di tali pratiche rituali.
Eredità culturale
L’epoca del tarantismo 'storico' si concluse con la modernizzazione rurale del Novecento, ma la memoria del rito sopravvive, anche se mutata, come elemento di identità culturale.
Oggi la pizzica e la tarantella hanno conosciuto una rinascita popolare come espressione folcloristica e di rivendicazione del patrimonio meridionale: i vorticosi ritmi della pizzica risuonano non più solo nelle feste di paese, ma anche in matrimoni, sfilate di moda, festival e concerti in cui antico e moderno si incontrano.
Nel nuovo millennio, la pizzica ha subito l’effetto della globalizzazione e dell’influenza mediatica, che l'hanno reso un'attrazione turistica ed un fenomeno di massa, distaccandosi così dalle origini, dalle tradizioni, dal culto e dal Tarantismo.