Dopo "pizza", "ciao" è la parola italiana più conosciuta al mondo, si tratta del saluto più comune tra amici e conoscenti e una delle prime espressioni che si insegnano ai bambini, eppure le sue origini sono complesse e tutt’altro che banali.
L’origine di “ciao” affonda le radici un una formula reverenziale, riservata a persone di alto rango, in uso a Venezia intorno al Settecento. Circa un secolo dopo prese piede in Lombardia, semplificato in “ciao” e spogliato della sua forma altisonante e, da lì, si diffuse velocemente in tutta Italia come saluto informale.
Nel Novecento venne "esportato" all’estero a seguito delle ondate migratorie e del diffondersi della cultura italiana nel mondo.
Le origini
"Ciao" trae origine dalla parola veneziana “s’ciavo” che significa “schiavo” con la quale i servi e le persone di basso rango si rivolgevano ai ceti più alti, intendendo: “sono schiavo vostro”.
Successivamente fu adottata, con un certo sarcasmo, anche dai nobili stessi, nel momento di prendere commiato dai loro pari. Ne troviamo ampia testimonianza nelle commedie di Carlo Goldoni: ne La locandiera il Cavaliere di Ripafratta si congeda dagli astanti con «Amici, vi sono schiavo» e, allo stesso modo, saluta anche Don Roberto nella commedia La dama prudente.
Il vocabolo latino “sclavus” , da cui prende origine la parola, deriva, a sua volta, da “slavo” e fece la sua comparsa nel XIII secolo.
A quel tempo, franchi, tedeschi e danesi lanciarono una imponente offensiva alle popolazioni slave che occupavano i territori dell’Europa settentrionale e centrale. La conquista fu così violenta che la schiavitù degli slavi divenne proverbiale e diede origine, in pressoché tutte le lingue europee, al termine “schiavo”.
Nell’alto Medioevo gli schiavi slavi venivano venduti in tutta Europa e Venezia, Ratisbona e Lione erano le piazze principali di questo raccapricciante commercio, tollerato e talvolta caldeggiato dalla Chiesa, in virtù del fatto che fossero pagani.
Ciao, la diffusione in Italia
A partire dall’Ottocento, il saluto divenne comune in Lombardia dove assunse un tono informale e confidenziale e si trasformò nella forma attuale “ciao”.
La sua prima attestazione scritta risale al 1818. In una lettera, Francesco Benedetti, tragediografo di Cortona, parlando della gentilezza dei milanesi afferma: ”Questi buoni milanesi cominciano a dirmi: Ciau Benedettin”.
Poco dopo, da Milano si diffuse velocemente nel resto della penisola, come testimonia Niccolò Tommaseo che, nel suo Dizionario della lingua italiana, dichiara, con un certo rammarico, che anche in Toscana qualcuno cominciasse a usare la formula "vi sono schiavo".
Il saluto divenne così universalmente usato nella penisola e dopo la seconda guerra mondiale entrò anche nel titolo della canzone partigiana per antonomasia: “Bella ciao”.
La diffusione all’estero
Il saluto era conosciuto all’estero probabilmente già alla fine dell’Ottocento. In un romanzo francese di Paul Bourget del 1893, un personaggio diceva in italiano «Ciaò, simpaticone» e nei primi del Novecento veniva suonato un valzer intitolato «Ciao».
Fu, però, a metà del Novecento che conobbe la sua massima diffusione grazie alla musica, ai film neorealisti e alle commedie all’italiana, che avevano, allora, un successo mondiale.
Nel 1959 la canzone di Domenico Modugno e Johnny Dorelli, “Piove”, con il suo famoso ritornello “Ciao, ciao bambina”, vinse il festival di Sanremo e venne tradotta in decine di lingue e nel 1968 Luis Armstrong duettò con Lara Saint Paul in "Ciao, stasera sono qui". Nel 1990 la mascotte dei campionati del mondo di calcio disputatisi in Italia venne chiamata proprio "Ciao".
"Ciao" è entrata anche nel lessico di numerose altre lingue, soprattutto in Europa e America Latina, dove viene usata quasi esclusivamente per il commiato.