La maternità, la malattia e l’infortunio non causano la cessazione del contratto dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente, ma ne comportano la sospensione, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare. La sospensione va richiesta dal prestatore d’opera e il committente può negarla quando venga meno il suo interesse al proseguimento del contratto. L’articolo 14 della legge di tutela dei lavoratori autonomi ripristina la previsione dell’articolo 66 del Dlgs 276/2003, abrogato dal Dlgs 81/2015, ma ne differisce nella sostanza.

Nulla dice, infatti, la nuova disposizione sugli effetti della sospensione che erano, invece, disciplinati dal vecchio articolo 66. Nulla prevedendo l’articolo 14, è dato ritenere che la scadenza del contratto si prolunghi di un periodo pari a quello della sospensione, sia in caso di gravidanza, sia per gli eventi di malattia e infortunio. Peraltro, in caso di maternità, se il committente è d’accordo, la lavoratrice può farsi sostituire da persona di sua fiducia in possesso delle necessarie competenze. Le parti possono anche concordare la compresenza della lavoratrice sostituita e della persona che la sostituisce, ma appare necessario, in tal caso, un accordo scritto sia per ragioni amministrative, sia per evitare possibili rivendicazioni economiche.

Indennità di maternità

Con la nuova legge le lavoratrici autonome iscritte in via esclusiva alla gestione separata e non titolari di pensione hanno diritto a percepire l’indennità di maternità anche se continuano a prestare attività lavorativa. Precedentemente, le lavoratrici avevano sì diritto all’indennità per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi, ma la permanenza al lavoro comportava la perdita del diritto all’indennità di maternità.

La tutela ora si allinea a quella prevista per tutte le lavoratrici autonome (professioniste iscritte ad Albi, artigiane, commercianti, coltivatrici) per la quali, come ha più volte confermato la Corte costituzionale, l’indennità di maternità ha una funzione meramente reddituale, che consente alla lavoratrice di scegliere se continuare l’attività lavorativa o sospenderla.

Vale la regola generale per cui l’indennità spetta per tre mesi più i giorni non goduti, se il parto è anticipato rispetto alla data presunta (parto prematuro o precoce), anche nel caso in cui la somma dei tre mesi successivi al parto e dei giorni compresi tra la data effettiva e quella presunta del parto supera il limite di cinque mesi.

Congedo parentale

È elevato da tre a sei mesi il periodo di congedo parentale indennizzato spettante agli iscritti esclusivamente alla gestione separata e non pensionati. Il congedo può essere goduto entro i primi tre anni di vita del figlio o dell’ingresso in famiglia del minore adottato o in affidamento preadottivo da entrambi i genitori, ferma restando la durata massima complessiva dei sei mesi anche se uno di essi fosse assicurato presso una diversa forma previdenziale.

Per fruire del trattamento economico è necessario che risulti l’accredito contributivo di almeno tre mensilità nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile, salvo che il congedo sia fruito nel primo anno di vita del figlio o del suo ingresso in famiglia, nel qual caso il trattamento spetta a prescindere da detto requisito.

La delega

La tutela per gli iscritti alla sola Gestione separata e non titolari di trattamento pensionistico potrà essere ulteriormente migliorata dal momento che il Governo è autorizzato ad adottare, entro 12 mesi, uno o più Dlgs che consentano la riduzione dei requisiti d’accesso alle prestazioni di maternità, incrementando il numero di mesi precedenti al periodo indennizzabile entro cui individuare le tre mensilità di contribuzione dovuta e l’introduzione di minimali e massimali per il diritto alle prestazioni.

Attualmente l’accredito delle mensilità utili ai fini del diritto è condizionato dal versamento dei contributi maggiorati dell’aliquota aggiuntiva dello 0,72% su un importo almeno pari al minimale di reddito previsto per i commercianti dall’articolo 1, comma 3 della legge 233/1990 (per il 2017, 15.548 euro) . Qualora il minimale non sia raggiunto entro la fine dell’anno, l’Inps provvede ad accreditare i mesi riproporzionandoli in base al contributo versato in base all’articolo 2, comma 29 della legge 335/1995.