«Non abbiamo presentato alcun documento al Governo per chiedere l’apertura di altri quattro casinò. Quanto è stato detto e scritto è frutto, come sempre, di interpretazioni parziali».

Carlo Pagan, presidente di Federgioco, smentisce le notizie secondo le quali l’associazione che riunisce i casinò di Saint Vincent, San Remo, Campione d’Italia e Venezia stia facendo il filo allo Stato “biscazziere” per caldeggiare altre quattro strutture nel Centro-Sud. Per Pagan nulla è deciso: «Ci esprimeremo compiutamente sulla questione solo nel prossimo consiglio direttivo di Federgioco, previsto tra quindicina di giorni nel quale ragioneremo anche sulle ipotesi di riforma del settore».

Sull’opzione raddoppio, il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta si è sbilanciato pubblicamente, mentre cresce il sostegno politico trasversale. A voi, inutile negarlo, l’idea alletta parecchio.

«Noi abbiamo sempre collaborato con i ministeri interessati con un atteggiamento costruttivo e trasparente e quindi ci adegueremo ai provvedimenti che il Governo riterrà opportuno adottare. Intanto faccio notare come il modello casinò si stia imponendo in relazione ai rischi di illegalità e nella gestione del gioco d’azzardo patologico. Il casino è un ambiente senza dubbio più protettivo e controllato».

Tuttavia le case da gioco hanno accusato negli ultimi dieci anni una pesante perdita di 314 milioni di euro diventando un lusso troppo costoso, non crede?

«I casinò non sono un problema, sono un’opportunità perché restituiscono risorse al territorio dove sorgono, con benefici anche turistici. Nel 2015, inoltre, incasseranno 294 milioni facendo registrare 2,2 milioni di ingressi. I 314 milioni di perdita? Anche in questo caso è una lettura strumentale, gli addetti ai lavori lo sanno bene.

Se i bilanci si analizzano tecnicamente il risultato è questo, ma in realtà ai Comuni, come “soci di maggioranza” dei casinò, vanno i redditi delle sale. Proprio le convenzioni hanno contribuito a creare il mito delle sale in perdita. Se una sala da gioco produce reddito per 80 milioni di euro e la convenzione prevede il pagamento di 100 milioni annui, alla fine risulta una perdita da 20 milioni.

Qualche anno fa il casinò di Venezia versò al Comune ben 80 milioni risolvendo all’ente parecchi problemi di bilancio».

In esame c’è, dunque, l’apertura di quattro casinò nel Centro-Sud, mentre prosperano migliaia di centri scommesse e sale slot in tutto il Paese controllate da 1500 gestori-padroni. Inoltre corre voce che il governo ne voglia aprire di altre. Secondo lei non si rischia di superare il punto di non ritorno?

«Le rispondo dal mio osservatorio con un esempio. Il governo svizzero ha recentemente autorizzato l’apertura di ben 21 casinò riducendo drasticamente le sale da gioco. Ciò in un Paese di soli 7 milioni di abitanti. Sarebbe un modello interessante da seguire anche in Italia».