Sarà l’Italia il primo Paese occidentale ad aderire ufficialmente al mega progetto cinese di espansione economica denominato Belt and Road o nuova Via della Seta. Un apposito memorandum potrà essere sottoscritto dal premier Giuseppe Conte e dal presidente cinese Xi Jinping già in occasione della visita ufficiale di quest’ultimo in Italia, tra il 21 e il 23 marzo prossimi.

Secondo il Presidente del consiglio, l'accordo sarebbe l’occasione per l’Italia di ricoprire un ruolo manageriale, anche in ambito Ue e nel resto del modo occidentale, negli ambiti di cooperazione previsti dall’iniziativa.

Essi riguardano settori come infrastrutture, energia, telecomunicazioni, aviazione civile, e-commerce. Un ruolo importante potrà essere rivestito dai porti di Trieste, di Genova e – perché no – di Gioia Tauro.

Chi è favorevole e chi è contrario alla Belt and Road nel governo italiano

Estremamente favorevole, nel governo italiano, sembra essere il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci: “Vogliamo assicurarci – ha detto - che i prodotti del made in Italy possano avere più successo in termini di volumi di export verso la Cina, che è il mercato a crescita più veloce al mondo”.

Meno entusiasti, invece, sembrano gli esponenti della Lega. Il vicepremier Salvini , infatti, ha già messo le mani avanti dichiarando che “Se si tratta di aiutare imprese italiane a investire all’estero, noi siamo disponibili a ragionare con chiunque.

Se si tratta di colonizzare l’Italia e le sue imprese da parte di potenze straniere, evidentemente no”

Scettico anche il sottosegretario leghista alla Presidenza del consiglio Giorgetti, secondo cui l’accordo italo-cinese dovrà migliorare le relazioni economiche e commerciali tra Italia e Cina, ma non contenere impegni di interesse strategico che contraddicano il consolidato posizionamento della nazione.

A tali obiezioni, il premier Conte ha gettato ancora una volta acqua sul fuoco, assicurando che l’accordo non muta la collocazione euro atlantica dell’Italia.

Gli obiettivi della nuova Via della Seta

La Belt and Road si pone l'obiettivo di creare un immenso mercato comune eurasiatico, aumentando - chiaramente - il peso diplomatico di Pechino.

L'obiettivo risponde alle necessità economiche cinesi, quali la collocazione della sua sovra produzione industriale, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico (gas, petrolio e uranio), l'accesso alle materie prime fondamentali per lo sviluppo tecnologico del gigante asiatico.

Pechino, per lo sviluppo dell'iniziativa, si basa principalmente sul coinvolgimento dei paesi del Sud Est asiatico in grandi progetti infrastrutturali: cambogia, Myanmar e Thailandia. Qui vorrebbe costruire un canale, tagliando l'istmo di terra che unisce l'Asia continentale alla malesia, onde evitare ai propri convogli il passaggio obbligato di Singapore.

Nell'Oceano Indiano, i paesi coinvolti sono Sri Lanka e il Pakistan, dove la Cina sta realizzando il porto di Gwadar.

Nel Mar Rosso, i cinesi hanno insediato la loro prima base militare estera, a Gibuti e si sono accordati con l'Egitto per la realizzazione di un secondo, più grande, Canale di Suez. Ecco che, nel Mediterraneo, i porti italiani di Genova e di Trieste diventano il punto di arrivo della strategia cinese.

Gli USA vedono la Belt and Road Initiative come il fumo agli occhi

Chiaramente, la realizzazione della Belt and Road Initiative cinese rappresenterebbe uno scacco per l’egemonia politico-economica degli Stati Uniti nel modo occidentale. Ma, d’altronde, la Politica parzialmente isolazionista del presidente Trump (“America first”) e la sua guerra dei dazi alla Cina non potevano condurre ad altro. Per questo Garrett Marquis uno dei consiglieri di Trump, per conto del presidente, ha espresso le preoccupazioni degli Stati Uniti al governo italiano, non lasciando insensibili gli esponenti della Lega.

L’adesione italiana al progetto di penetrazione economica cinese ha riscosso freddezza anche tra i funzionari di Bruxelles. Un portavoce della Commissione ha fatto rilevare che nessuno Stato membro della Ue sia in grado di ottenere efficacemente i suoi obiettivi con la Cina senza una piena unità d’intenti con il resto della Ue. Un’unità che – a parere di chi scrive – è sempre venuta meno quando sono stati in ballo gli interessi italiani nel Mediterraneo. Fu per anche per questo motivo che, più di un secolo fa, l’Italia abbandonò la Triplice Alleanza, per cercarsi nuovi alleati. #Politica Estera