Con due tweet, pochi giorni fa, Donald Trump ha annunciato l’apposizione di un dazio del 25% su 325 mil. di di dollari di prodotti cinesi attualmente non tassati. Inoltre, il dazio del 10% su 200 mil.di merci passerà al 25%. Gli aumenti scatteranno alla mezzanotte di venerdì (ora di Washington).

Il motivo sarebbe la rottura, sostiene Trump, da parte di Pechino del tavolo di trattativa sugli scambi commerciali tra i due Paesi. In ogni caso, Pechino ha incaricato il vicepresidente Liu He di riprendere il dialogo con il presidente americano. Tutto ciò, peraltro, molto lentamente, perché Liu He giungerà a Washington solo nelle prossime ore.

Nel frattempo, i tweet del presidente Trump hanno gettato scompiglio nelle borse di tutto il mondo, a cominciare dalle asiatiche ma anche in quelle europee e a Wall Street. Milano ha perso circa il 3,5% tra lunedì e martedì, mentre ieri è stata quasi stabile.

A chi giova la guerra dei dazi Usa-Cina

L’obiettivo che si pone Trump in questa guerra dei dazi non è solo quello di ridurre il deficit commerciale nei confronti della Cina. E’ anche il pieno accesso delle aziende Usa ai mercati cinesi, tutelando i propri segreti tecnologici e i diritti sulla proprietà intellettuale.

I risultati sin qui ottenuti sono contraddittori. Se è vero gli Stati Uniti dell’era Trump hanno registrato una crescita del 3% in termini reali e la disoccupazione è al minimo da 49 anni, ciò non sembra dovuto al protezionismo.

Inoltre, il maggior costo delle importazioni dovuto alle misure di ritorsione cinesi (ed europee) hanno aumentato il deficit commerciale di 43 miliardi rispetto a quello del 2017 e di 52 rispetto al 2016.

La Cina, che sinora ha inondato il mercato americano con prodotti a prezzi ultra competitivi, ha avuto danni minori. Le importazioni dagli Usa, infatti, sono state più facilmente sostituite.

A Pechino è sufficiente rifornirsi di prodotti agricoli e alimentari dal Brasile e dall’Argentina, soprattutto la soia. Le mancate esportazioni, invece, potranno essere presto recuperate con la Via della seta e incrementando il mercato interno, molto meno saturo di quello d’oltre Oceano.

Europa e soprattutto Italia nell’angolo

Trump, inoltre, è insofferente anche con i Paesi europei, Germania in testa. L’Europa, con un mercato interno più saturo di quello degli Stati Uniti e, inoltre, stagnante, diventa la prima vittima della guerra dei dazi. L’economia europea dipende dalle esportazioni quasi come la Cina o il Giappone. Attualmente, l’area Euro, infatti, registra un surplus di export del 3,2% del pil, con punte al 9,9% per l’Olanda e del 6,6 della Germania. L’Italia è al 2,5 per cento.

Con l'Europa la guerra dei dazi, iniziata più blandamente in forma diretta, proseguirà, indirettamente, con i riflessi di quella, più ampia, con Pechino. A ciò si aggiunge la gelosia degli Usa per il loro primato tecnologico mondiale, sempre più minacciato.

Gran Bretagna, Germania e Italia, infatti, non intendono seguire gli Usa nel veto alle importazioni di telefonini del colosso cinese Huawei. Se alla guerra commerciale si aggiunge quella tecnologica, i risultati per le aree più deboli (Eurolandia) sarebbero disastrosi.

Se l’Europa è debole, l’Italia è il suo ventre molle. Solo l’anno scorso, le mancate esportazioni dovute alle sanzioni americane sono ammontate a 1,7 mil.di di euro. Mezzo punto di pil in meno di due anni, secondo la Confindustria. Tra i principali prodotti di esportazione verso gli Stati uniti vi sono i nostri marchi più famosi e ricercati, quali il Campari, il prosecco, i vini, l'olio di oliva, la mozzarella e il pecorino. Ma, di questo passo, la metà del nostro export potrebbe esserne colpito.

Per questo Piazza Affari, negli ultimi giorni, sembra che stia subendo uno choc. Per non parlare dello spread, che potrebbe salire in modo incontrollato, aggravando ulteriormente il nostro deficit. Con tutte le possibili conseguenze sulla tassazione dei ceti medi e di quelli produttivi.