Sta facendo discutere la proposta lanciata dal Ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti, sposata anche dal Premier Giuseppe Conte, di tassare le merendine e le bibite gasate. Una misura questa in realtà non inedita, perché già adottata in decine di Paesi, proprio con lo scopo di combattere l'obesità giovanile e al contempo ricavare risorse preziose per le casse dello Stato, che possono essere reinvestite su Scuola e Sanità.

Health tax: i casi che fanno scuola

"Health tax", "Sugar tax" o "Junk food tax", la tassazione per contrastare i cibi spazzatura e ricchi di zuccheri, lega a doppio filo Salute e conti pubblici, perché è stata ideato come provvedimento per combattere l'obesità: l'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda l'adozione di questo tipo di tassazione per contrastare questo fenomeno, che dal consumo di zuccheri raffinati in eccesso porta a diabete, cancro o malattie cardiache.

Nonostante tale misura sia considerata economicamente penalizzante per le fasce di reddito più deboli, in realtà in paesi come Ungheria e Regno Unito ha sortito effetti positivi, almeno sulla salute della popolazione, ancor prima di quelli derivanti dagli introiti per le casse statali. La popolazione magiara ad esempio, aveva tassi di mortalità per ischemia, malattie cardiache e cancro tra i più alti dei paesi industrializzati, con circa i due terzi in sovrappeso.

L'introduzione in Ungheria tassa al 4% su prodotti confezionati e le bibite nel 2011, ha portato ad una flessione dei consumatori di junk food del 59%, secondo il World Health Organization, con una riconversione delle produzioni in chiave salutista e un adeguamento dei consumi verso alternative più sane.

Nei primi quattro anni, lo stato ungherese ha incassato 219 milioni di dollari, poi investiti nel spesa sanitaria.

Nemmeno Oltremanica la situazione è delle migliori: secondo il National Health System, 1 cittadino britannico su 4 è obeso, con ricoveri ospedalieri per obesità tra il 2015 e il 2017 aumentati dell'8%, che raggiungevano le 10.705 unità.

La School of London Hygiene and Tropical Medicine, ha rivelato che su una popolazione di 66 milioni di persone, circa 3,7 milioni è affetta da diabete (5,7%) e ogni anno 73mila persone muoiono per cardiopatie e malattie coronariche, e 40mila d'infarto.

Dall'aprile 2018 nel Regno Unito si sta sperimentando questa misura, che prevede un aumento di 18 pence al litro sulle bevande che ogni 100 ml contengono tra i 5 e gli 8 grammi di zucchero, oppure 24 pence al litro per le bevande che ogni 100 ml contengono una quantità superiore ai 8 grammi di zucchero.

Il Ministero del Tesoro sperava di incassare dalla "sugar tax" circa 500 milioni di sterline l'anno, con il target abbassato a 240 milioni di sterline dopo che i produttori si sono adeguati alle nuove quantità di zuccheri: i 154 milioni di sterline incassati nei primi 4 mesi stanno finanziando campagne di contrasto all'obesità infantile e la promozione dello sport secondo il Financial Times.

Esistono comunque casi in cui tali tassazioni sono state aggirate, come la sugar tax in Norvegia, adottata nel lontano 1922, che ha visto nel corso degli anni i consumatori approvvigionarsi nei negozi della vicina Svezia, la "Fat tax" in Danimarca, che dopo la sua introduzione nel 2011 ha avuto pesanti conseguenze su lavoro e commercio, facendo lievitare l'evasione per vendita illegale di soft drink, oppure l'escamotage di Coca Cola in Francia, che ha risposto alla tassa sui zuccheri riducendo la dimensione delle bottiglie, a differenza degli altri produttori che hanno operato i tagli sulle quantità di zucchero.

La situazione in Italia

Prima della proposta fatta dal ministro Fioramonti e dal premier Giuseppe Conte, già nel 2018 si era parlato di sugar tax. Ad avanzare la richiesta fu infatti il Fatto Alimentare, che avanzò l'idea di un'aliquota al 20% sul zucchero nelle bibite. La Società Italiana di Diabetologia aderì a questa campagna, da cui nacque una lettera aperta all'allora Ministro della Salute Giulia Grillo, in cui si esponeva questo problema e si chiedeva la necessità di promuovere buone pratiche per la salute dei cittadini.

Le cattive abitudini alimentari sono infatti gravose per il bilancio dello Stato. Il Centro studio ricerca sull'obesità ha rivelato che nel 2016 l'impatto economico è quantificabile entro i 9 miliardi di euro (compresi il calo della produttività e la mortalità precoce), con circa il 5% della popolazione malata di diabete, un dato raddoppiato negli ultimi trent'anni.

Lo Stato per ogni diabetico spende ogni anno circa 2.800 euro, raggiungendo gli 8 miliardi di euro annui. Risorse quindi che potranno essere adoperate per intervenire su sanità e nelle scuole, in ottica di prevenzione.