Il 28 settembre la Borsa di Milano è scesa del 2,14%. Le altre Borse europee non sono state da meno. Soprattutto nel pomeriggio quando sono giunte notizie da Wall Street che poi ha chiuso a -1,63. Il Nasdaq della borsa newyorkese, cioè l’indice dei titoli relativi al solo mercato elettronico, è sceso addirittura del 2,83%.

Il motivo principale di tale crollo improvviso sarebbe in primo luogo il rincaro prezzi del petrolio. Il rialzo era già stato registrato nelle settimane precedente ma solo ieri si è tradotto in un sostanziale crollo degli altri titoli.

Gli esperti individuano poi come motivazione anche l’inflazione strisciante che stanno subendo le divise monetarie di riferimento delle borse (dollaro, euro, sterlina, ecc.). Altri lo ritengono conseguente anche al rialzo dei tassi d’interesse. Esaminiamo allora tali considerazioni e individuiamo i loro effetti.

Il rincaro del petrolio ha fatto sforare al ‘brent’ il tetto degli 80 dollari

I prezzi del petrolio hanno raggiunto i loro massimi dall’autunno 2018. Il rialzo è dovuto alla ripresa dell’economia mondiale nel post-pandemia. Questa ripresa economica ha generato una crescita generalizzata della domanda di beni e servizi con conseguente aumento dei prezzi. Il prezzo del brent – cioè il prodotto di riferimento del mercato petrolifero – è così salito a 80 dollari al barile.

L’Opec prevederebbe anche una crescita continua del prezzo per i prossimi 25 anni. Ma le previsioni dell’Opec sembrano troppo ottimistiche e sbilanciate dal punto di vista dei produttori. Non fa i conti con le politiche della transizione ecologica, messe in atto da tutti i paesi consumatori.

In ogni modo, alla lunga, i ribassi delle borse europee sono meno sensibili ai rialzi del prezzo del petrolio rispetto ai ribassi del medesimo.

Una delle precedenti crisi di borsa, infatti, fu determinata dal prezzo del brent che era sceso intorno ai 20-22 dollari al barile. La sensibilità delle borse al prezzo del petrolio, infatti, è determinata dal fatto che i paesi produttori posseggono pacchetti azionari importanti. In caso di ribassi sono costretti a svenderli trascinando in basso le borse.

Al contrario, in caso di rialzi, hanno disponibilità di liquido per acquistare, riportando a breve in alto le quotazioni di borsa.

Rincaro delle bollette, conseguenza di quello del petrolio

Per le tasche degli italiani il rincaro del petrolio avrà principalmente effetto sulle bollette da pagare. L’Authority di regolazione per l’energia ha infatti autorizzato ieri un aumento dell’energia elettrica del 29,8% a partire dal 1° ottobre. L’aumento del prezzo del petrolio ha poi trascinato in alto anche quello del gas, anche se in modo più contenuto. Si avrà quindi un contestuale aumento della bolletta del gas del 14,4%.

Gli aumenti potevano essere anche superiori se il governo non avesse messo in campo interventi calmieranti di circa 3-3,5 mld euro.

Grazie ad essi, il governo ha comunicato che gli incrementi tariffari, per oltre 3 milioni di famiglie che fruiscono del bonus sconto, risulterebbero sostanzialmente azzerati.

La conseguente inflazione è però ben vista dagli operatori

La seconda causa del “martedì nero” delle borse sarebbe la strisciante inflazione dei prezzi, negli ultimi mesi. Tale fattore potrebbe essere considerato una causa dei ribassi di borsa ma anche il loro prodotto. In realtà dopo anni di “quasi-deflazione” un’inflazione contenuta al 2% è addirittura ben vista nelle “stanze dei bottoni”. La governatrice della Bce, Cristine Lagarde, in audizione al Parlamento europeo, ha infatti dichiarato che tali impatti dovrebbero essere riassorbiti al massimo entro un anno.

I dati farebbero prevedere, in Eurozona, un’inflazione annua del 2,2 al termine del 2021. L’inflazione scenderà poi all’1,7% nel 2022 e all’1,5% nel 2023. Tali percentuali erano, tutto sommato, gli obiettivi che si poneva a suo tempo il suo predecessore Draghi, con il quantitative easing. L’economia europea – ha detto Lagarde – comunque avanza. Quindi non c’è da aver paura.

Nei fatti, una moderata inflazione avvantaggia le economie che fanno dell’export una loro importante risorsa. In tal caso, in Europa, ne beneficerebbero Germania e Italia. Per quanto riguarda l’Italia l’inflazione potrebbe svantaggiare il turismo, anche se meno che in Francia, Spagna e Grecia. Ma, a ben vedere, soltanto il turismo giapponese se, come sembra, lo yen soffrirà di un’inflazione anche maggiore dell’euro.

Il turismo proveniente d’oltre atlantico ne dovrebbe risultare avvantaggiato, perché il dollaro dovrebbe rafforzarsi leggermente. Quello da eurozona, chiaramente, rimarrà immutato.

Rincaro dei tassi d’interesse

Un intervento analogo a quello della Lagarde è stato effettuato dal Presidente della Federal Reserve Usa al Senato statunitense. Jerome Powell ha infatti premesso che l’obiettivo della FR era di un’inflazione al 2% e prevede il suo assestarsi su tale livello nei prossimi mesi. In ogni modo, anche lui ha affermato che la produzione Usa è in forte ripresa e che non ci sarà da preoccuparsi per il futuro.

Per quanto riguarda il rialzo tassi d’interesse bancari, contestuale all’avvenuto crollo delle borse, ciò è avvenuto – per il momento – soltanto negli Stati Uniti.

In Europa, invece, i tassi bancari sono più esposti agli effetti dell’inflazione e i rendimenti, attualmente, sono sempre negativi. L’asta di Banca Italia dei BOT a sei mesi infatti ha toccato il tasso di -0,54%. Ora, è vero che ciò non garantisce il mantenimento del capitale investito. Ma è pur sempre un deprezzamento minore dell’inflazione che, come detto, prevede per i prossimi mesi un depauperamento del capitale reale di almeno il 2% annuo. I bassi tassi d’interesse, in ogni caso, sono uno stimolo per l’economia. Alla lunga, ne beneficeranno anche i pacchetti azionari, oltre che il nostro export.