Nel rapporto 2013 Unioncamere e Fondazione Symbola sul lavoro creativo nel nostro Paese intitolato "Io sono cultura" è dipinta l'Italia fantasiosa con professionalità del tipo copywriters, video maker, web content editors, grafici, art-directors, esperti di social marketing con un valore pari a circa il 6% del Pil, privi di tutele e di una posizione contrattuale certa. Un quadro che interessa circa due milioni di lavoratori al di sotto e sopra i 40 anni di età.

Nel rapporto sottotitolato "L'Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi" si espone come debba essere "ascoltata, incoraggiata, accompagnata" e come sia necessario investire meglio e in modo più efficace su organizzazione, marketing e comunicazione.

I quattro settori espressivi del valore economico a base culturale e creativa, sono dati dalle industrie culturali, comprendenti le attività collegate alla produzione di beni connessi alle principali attività artistiche a elevato contenuto creativo; industrie creative dell'architettura, comunicazione, branding e design: le attività più tipiche del made in Italy; patrimonio storico-artistico architettonico; performing arts e arti visive.

L'occupazione impegnata nelle imprese culturali è pari a 1.397 mila persone, corrispondenti al 5,7% del totale degli occupati del Paese. Al prodotto e all'occupazione contribuiscono le industrie creative (47,1% di valore aggiunto, 53,3% di occupazione) e le industrie culturali (rispettivamente 46,4% e 39,0%), la quota è molto bassa per le performing arts e arti visive (5,1% e 6,0%).

In tempo di crisi tra partite Iva camuffate, contratti a progetto, collaborazioni "occasionali" lunghe, limitazioni temporali o di reddito per le esenzioni fiscali, ci sono i lavoratori creativi precarizzati, atipici, sospesi nell'illusione di un auto-impiego ingestibile in un sistema economico italiano dove chi esce dal regime delle partite Iva agevolate, valide per 5 anni, non può sopportare il passaggio alla partita Iva semplice, gravata da una tassazione vicina al 50% (negli ultimi 5 anni chiuse 400 mila).

Sono quattro i comparti necessari per sviluppare le industrie culturali del futuro e sostenere l'eccellenza produttiva. Finanza e servizi, sono campi per avere successo nel mercato attingendo velocemente alle fonti di finanziamento utili e possibili per crescere e investire. Marketing e management, campi in cui le imprese culturali e creative non hanno risorse, aziende poco centrate sulla comunicazione, non ricercano con efficacia nuovi partner con i quali fare rete.

Ci sono i co-working, luoghi di scambio informale, creatività e libera innovazione, che evolvono in laboratori di creazione d'impresa e reti. Un "innovativo movimento di produzione prende corpo, espressione di attori che hanno voglia di emergere e aggregarsi, creando lavori e valori". Integrazione e sinergie per cui le imprese pubbliche devono riprendere a essere "capaci di tracciare la mappa delle risorse culturali e creative e gli schemi di sviluppo e collaborazione, dando spazio a partner privati e metodologie industriali, nell'esecuzione dei progetti". Media, contenuti e innovazione.

È necessario e prioritario seguire la creazione e lo sviluppo delle nuove aziende, favorendo l'incontro tra manager e imprenditori del settore e favorire il "back to business" dei profili manageriali espulsi dalle imprese, facendoli incontrare con giovani aziende adottando una politica sociale e welfare culturale più efficace.