Continua il fermento sul tema previdenziale in Italia. Stavolta, a prendere la parola è stato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini che ha aperto alla flessibilità in uscita. Il sottosegretario ha chiarito che il Governo non ha abbandonato l’idea di riformare la Legge Fornero e quindi tutto il sistema della nostra Previdenza Sociale, anzi. Naturalmente, le parole di un politico di spicco ed abbastanza vicino al Presidente Renzi, non sono campate in aria, ma ancora non si può dare per scontato che la tanto agognata riforma sia vicina dall’essere fatta.

I nodi da sciogliere sono sempre quelli della spesa pubblica

Il sottosegretario, durante un incontro all’Istat, ha ribadito la ferma volontà di lavorare per organizzare una riforma che sia equa, cioè che permetta ai lavoratori di poter scegliere quando abbandonare il lavoro e che allo stesso tempo, non gravi in maniera eccessiva sulle casse statali. Conti alla mano, una riforma delle Pensioni che azzeri i vincoli e le rigidità di quella partorita dal Governo Monti e che ancora oggi è in vigore, costerebbe allo Stato qualcosa come 7 miliardi annui. Una cifra che anche Nennicini considera eccessiva e difficilmente reperibile per le casse statali. Ecco perché si deve iniziare a ragionare nell’ottica che le tanto temute penalizzazioni, cioè riduzioni di assegno pensionistico per i neo pensionati, sono necessarie.

Ad oggi, l’unico modo che ha il Governo per mettere in piedi una riforma è farlo chiedendo un sacrificio ai pensionati che dovrebbero fare i conti con le riduzioni per il resto della vita.

Niente decreto a se stante, se si farà, sarà con la legge di Stabilità 2017

Caricandoci di un ottimismo forse esagerato, possiamo dire che già che se ne parli è una buona notizia.

C’è però da considerare il fato che, la riforma doveva entrare nella manovra finanziaria approvata ed in vigore dal 1° gennaio scorso. Sempre per colpa delle coperture, tutto era stato rimandato a futuri decreti ad hoc, cioè senza essere messi in operazioni di bilancio statale più grandi. Almeno questi erano gli intenti del Governo che adesso, fa quasi retromarcia, prevedendo di nuovo che la flessibilità in uscita, diventi uno dei tanti provvedimenti da inserire nella prossima Legge di Stabilità, quella valida per il 2017.

Le parole del sottosegretario fanno pensare che la base di partenza su cui sta lavorando il Governo, sia la proposta di flessibilità del Presidente Inps, Tito Boeri. Quindi si potrebbe iniziare ad uscire dal lavoro a 63 anni e 7 mesi, con 20 anni di contributi ed accettando il 9% di riduzione del futuro assegno. Naturalmente la penalizzazione si abbasserebbe fino ad azzerarsi se si lasciasse il lavoro a partire dai 66 anni e 7 mesi come oggi. SI parte da Boeri anche per la pensione anticipata, quella che permetterebbe di uscire dal lavoro con 42 anni di contributi senza limiti di età. Naturalmente, anche qui c’è da fare i conti con la penalizzazione e con il calcolo del futuro assegno, interamente con il sistema contributivo.

Visti gli alti costi, infatti, difficilmente si potrà sposare la proposta di Damiano e della sua Commissione Lavoro della Camera che anticipa di un anno sia l’uscita per vecchiaia (62 anni e 7 mesi) che quella di anzianità (41 anni di contributi). Inoltre, per Damiano, la penalizzazione dovrebbe essere fissa, cioè del 2% per ogni anno di anticipo rispetto all’età necessaria, con un tetto massimo dell’8%.